
Una decisione che avrebbe segnato la storia di Pontremoli

Un curioso documento conservato nell’Archivio della Curia vescovile di Pontremoli, negli atti relativi alla parrocchia di San Nicolò, contiene una richiesta che, se attuata, avrebbe certamente sconvolto la storia di Pontremoli negli anni a venire, privando la città di alcuni degli avvenimenti più curiosi della sua tradizione popolare.
Siamo nell’aprile del 1807. Pontremoli si trova nel Regno di Etruria governato da Maria Luisa di Borbone Spagna che, dal 1803, funge da reggente per il figlio minorenne Luigi Carlo, re d’Etruria con il nome di Ludovico II. È un momento di grande incertezza per il nuovo regno che era stato creato da Napoleone in seguito al trattato di Luneville del 1801 al posto del Granducato di Toscana ed affidato a Ludovico di Borbone che però, a causa di uno stato di salute molto cagionevole, morì appunto nel 1803, lasciando la Toscana nelle mani della moglie Maria Luisa, donna avvenente ma troppo giovane per gestire una situazione politica complessa come quella della Toscana post lorenese, che stava vivendo un periodo di grandi ristrettezze economiche e sociali. Pontremoli, comunque ai margini dello Regno, risente pienamente dei condizionamenti indotti dall’influenza francese e tutte le occasioni sono buone per imporre soluzioni vantaggiose per una cosa pubblica allo stremo e bisognosa di inventare in ogni modo risorse importanti per gestire l’ordinario.
Quando, a metà del marzo 1807 viene a mancare il parroco di san Nicolò, un funzionario governativo, a noi ignoto, invia una lettera al Governatore, ipotizzando di soprassedere dalla nomina del nuovo parroco e di dividere il territorio di competenza della parrocchia di San Nicolò tra la parrocchia di San Geminiano e quella di Santa Maria Assunta di Mignegno, dirottando le rendite della stessa a favore dell’Ospedale di Sant’Antonio Abate, che versava in grandi ristrettezze.

Nel documento si evidenzia che “la Cura di Mignegno ha un Parroco, quella di San Gemignano ha un Curato ed un Cappellano Curato, e quella di San Niccola aveva un Parroco, ed essendo ora vacante, vi è un Economo”. Quindi la proposta, secondo la quale “niente a mio credere sarebbe più opportuno che la Riunione del Patrimonio della sudetta Chiesa vacante di San Niccola al Patrimonio dello Spedale che è scarsissimo dirimpetto ai suoi bisogni”.
Quanto alla cura delle anime, si potrebbe “aggiungere altro Cappellano al Curato di S. Gemignano, con obbligo di celebrare e di tenere in buon ordine la Chiesa di S. Niccola anche perché potesse soddisfare ai più legati che mi si dice esservi addetti. Il Popolo di questa Cura potrebbe dividersi tra le Cure di Mignegno e di S. Gemignano, dando alla Prima ciò che è in Campagna e assegnando alla seconda ciò che è in Città. In quanto all’ Erogazione proposta farsi nel restauro della fabbrica del Carmine, non credo che sarebbe prudente, mentre ultimata la Fabbrica, mancherebbe poi il patrimonio per mantenervi i Malati”. […] “Lì 15 Aprile 1807”.
L’argomento, come evidente, è molto delicato e fa riferimento ad alcuni problemi molto spinosi tra cui la prospettiva di intervenire sul soppresso convento del Carmine per trasformarlo in ospedale al posto di quello esistente nel centro storico, con la chiara consapevolezza, però, dei problemi che questo verrebbe a provocare per la gestione.

Ma soprattutto contrasta con gli interessi diretti della città perché – come si legge in altra parte del documento – è evidente che il vescovo, mons. Gerolamo Pavesi (avendo “già contratto impegno di conferirla per la detta Chiesa”) non ha la minima intenzione di procedere alla soppressione della parrocchia e tanto meno il Rettore dell’Ospedale, il quale ha interessi personali diretti (ha “la Casa a confine della Chiesa e trae special vantaggio dalla di Lei esistenza” ed “è anche l’Amministratore dei Vacanti”) per impedire che la soppressione sia realizzata.
Che non se ne sia fatto nulla è evidente perché la parrocchia fu mantenuta e tutto tornò come prima, tanto più che, nello stesso anno, Maria Luisa di Borbone Spagna fu rimossa dal suo incarico di reggente per la soppressione del Regno di Etruria e con l’annessione della Toscana sotto il diretto controllo della Francia, cosa che comportò il riordinamento amministrativo dell’intero territorio lunigianese che fu assegnato al dipartimento degli Appennini di cui fu eretto capoluogo Chiavari, mentre Pontremoli, dal 1809, diventerà capoluogo di un Circondario che comprendeva oltre ai territorio toscani di Pontremoli e Bagnone anche i cantoni di Borgotaro, Compiano e Berceto in Emilia. Della gestione francese ben poco avanzò se non la disposizione diretta di Napoleone di dare il via al progetto per la realizzazione della strada da Sarzana a Parma attraverso il passo della Cisa, di cui avanza memoria nella lapide affissa sulle scale del palazzo comunale, ma che sarà realizzata solo dopo la restaurazione e completata sotto il Ducato di Parma, e la presenza del funzionario Giorgio Gallesio dal 1813 al 1814 che lasciò un importante relazione sullo stato dell’economia agricola della Lunigiana, in particolare della viticoltura, grazie alla quale veniamo a conoscere per la prima volta le varietà dei vitigni presenti sul territorio.
Se però il progetto fosse andato in porto la configurazione ecclesiale di Pontremoli sarebbe stata stravolta e, soprattutto, si sarebbero eliminati i motivi di conflitto tra San Geminiano e San Nicolò che, dopo i contrasti intercorsi negli anni 80 dell’Ottocento, quindi dopo l’unità d’Italia, provocarono un pesante contenzioso che portò alla istituzione della tradizione dei falò che resta uno dei momenti di folklore popolare che danno maggiore lustro a Pontremoli.
Luciano Bertocchi