Paolino Ranieri, mio babbo. Partigiano

Presentato a Pontremoli il libro di Andrea Ranieri sul padre che fu sindaco di Sarzana dal 1946 al 1971

Paolino Ranieri (1912 – 2010) è stato tra i primi partigiani a salire ai monti, già nell’autunno 1943, per combattere contro il nazifascismo: prima nell’Appennino parmense, poi nella bassa Val di Magra. Commissario politico nelle diverse formazioni di patrioti nei quali ha operato (dalla “banda Betti” in Val di Taro fino alla “Muccini” nel Sarzanese) sempre ispirato all’educazione dei suoi uomini: la solidarietà, l’uguaglianza, l’impegno per una società più giusta e davvero democratica. Nella primavera del 1946 le prime elezioni libere e a suffragio universale lo vedono eletto sindaco di Sarzana, carica che avrebbe mantenuto fino al 1971, esponente di quel Partito Comunista vera fucina di una classe dirigente che in quell’area della Lunigiana storica può vantare personaggi di primo piano protagonisti di uno sviluppo del quale ancora oggi si possono verificare i frutti.
Terminata l’esperienza di primo cittadino Paolino Ranieri ha continuato nel lavoro di ascolto, soprattutto dei giovani che, non a caso, gli sono sempre stati a fianc,o fino all’ultimo. L’impegno nell’ANPI (grazie a lui a Sarzana nacque una delle prime esperienza di “Anpi Giovani” a livello nazionale) e nel sindacato, ma anche nel difficile e faticoso lavoro per la salvaguardia e la diffusione della memoria e dei principi che erano stati alla base di una scelta, la sua come quella di molti altri, di farsi carico in prima persona di combattere la dittatura fascista a rischio della vita. Lui che aveva vissuto con gli occhi del bambino, nel luglio 1921, il feroce quanto vano assalto dei fascisti a Sarzana “la rossa”.

Paolino Ranieri con Laura Seghettini a Fosdinovo al Museo Audiovisivo della Resistenza

A Paolino Ranieri si deve il progetto e la creazione del Museo Audiovisivo della Resistenza alle Prade di Fosdinovo; si era alla metà degli anni Novanta e la sua era un’idea così fuori dagli schemi che ebbe un successo di rilievo nazionale. Non fu semplice far accettare un Museo senza cimeli, né bandiere, né armi, ma con il volto e la voce dei partigiani, delle donne, dei protagonisti di quei venti lunghi mesi verso la Liberazione. L’altra scelta non facile fu quella di affidarne l’allestimento alle innovative capacità di “Studio Azzurro”. E poi la determinata ricerca dei finanziamenti tra La Spezia e Massa Carrara, la Regione Liguria e la Regione Toscana, Enti e Associazioni… Così quei protagonisti che non sono più tra noi vivono ancora su quei grandi schermi da dove ci parlano ancora.
Una storia, quella di Paolino Ranieri, che il figlio Andrea ora racconta in un libro – di recente presentato a Pontremoli a cura della locale sezione Anpi – piccolo ma pieno di sentimento, (“Mio babbo partigiano. Patriota senza nazione”, Castelvecchi editore 2021, euro 6) i rapporti con quel padre che nel luglio 1943 aveva chiamato il figlio con quello stesso nome che di lì a pochi mesi avrebbe utilizzato per la propria identità di partigiano. Lui, il barbiere che a Sarzana aveva visto i fascisti far bere l’olio di ricino ad un cliente e che militava nel partito comunista clandestino dopo essere stato vicino all’Azione Cattolica, aveva conosciuto il carcere fascista di Fossano dove rimase chiuso per quattro anni dal 1938. Un periodo duro, dal quale uscì con la piena consapevolezza politica.
Pagine dalle quali la vita e il carattere di quell’uomo minuto ma dalla grande determinazione, emergono grazie ai sentimenti di un figlio che non nasconde i conflitti con il padre, primi fra tutti quelli per la politica, grande passione per entrambi. Emozioni che emergono anche da quella parte di racconto che si svolge in quelle montagne parmensi, in particolare a Tarsogno, dove Paolino aveva costruito una casa per tornare ogni estate così da restare vicino a quella gente che lo aveva accolto nei mesi terribili dell’occupazione.

(p. biss.)