
Si è tenuto a Villa Pratola l’incontro dell’Associazione Dimore Storiche

Dopo due anni di sospensione causati dalla pandemia, sabato 9 ottobre a Santo Stefano Magra si è svolta, in presenza, a villa Pratola, settecentesca dimora dei marchesi Remedi, l’annuale incontro culturale promosso dall’ADSI FAI, che da sei anni studia le principali famiglie del nostro territorio. Dopo i saluti dell’avv. Angiola Maria Comini di Negro a nome dei proprietari della dimora e le parole del dott. Alberto Clavarino, presidente della sezione ADSI Liguria, sul ruolo dell’Associazione, la dott. Barbara Bernabò, il prof. Marco Doria, la dott. Pia Spagiari, l’arch. Roberto Ghelfi, coordinati dal prof. Egidio Banti, hanno svolto, ciascuno con le proprie competenze, i loro interventi sul tema: “I Doria di Montaldeo e il loro rapporto con La Spezia”.
Nel 1569 Giorgio, primo signore di Montaldeo, apparteneva al ceppo dei signori della valle inferiore d’Oneglia, che alla fine del Duecento ebbero come capostipite Nicolò. I suoi diretti predecessori avevano avuto importanti rapporti con i giudici sardi, da quando Simone Doria nel 1164 aveva sostenuto e finanziato il progetto di Barisone I° d’Arborea di diventare re di Sardegna.
Non è mancato il riferimento di Barbara Bernabò alla figura di Brancaleone Doria, che Dante seppellisce nel ghiaccio della Tolomea, quando era ancora vivente, e la celebre invettiva contro i Genovesi del penultimo canto dell’Inferno. I Doria di Montaldeo seppero rinnovarsi interpretando creativamente le sfide della storia. Acquisirono, nel 1569, il feudo di Montaldeo nello Stato di Milano, situato tra Monferrato e Repubblica di Genova. Fu una scelta di status, ben inserita in quel fenomeno di ritorno della nobiltà urbana verso le campagne che interessò l’Italia del tardo Rinascimento.

Il legame della famiglia con la Spezia non era continuo e si era limitato all’amministrazione del Capitanato, curato per diversi anni da Ambrogio 2° (1628-1702), fino a quando per via ereditaria Giorgio Doria 5° (1801-1878) acquisì, il possesso di una proprietà alla Spezia. L’intervento del professor Doria si è chiuso ricordando la figura di Giacomo (1840-1913), ultimo figlio di Giorgio e di Teresa Durazzo (1805-1895), nato alla Spezia, amico di Giovanni Capellini (1833-1922) e fondatore del museo di Storia naturale di Genova.
Di grande interesse la figura di Teresa Durazzo, ben delineata da Pia Spagiari; essa condivideva con il marito Giorgio, gli ideali politici liberali e patriottici che li impegneranno, in modo sempre più intenso, nei circoli di opposizione di Genova. Teresa Doria era anche pittrice di un certo talento e, come ricorda l’Alizeri, faceva parte dell’Accademia Ligustica di Belle Arti. Amava La Spezia per la luce e per il sole ed intrecciò un carteggio interessante con il pittore Agostino Fossati (1830-1904), dove incoraggiava il suo talento e lo sollecitava a studiare il vero, in polemica contro il Realismo di Tammar Luxoro (1848-1926) e della sua cerchia.
Tra le cospicue proprietà che la famiglia Doria possedeva alla Spezia ricordo: la tenuta agricola presso Guarcedo, sulle pendici occidentali del colle di Marinasco, con casa padronale, cappella gentilizia e giardino; il palazzo urbano in via Prione dove si distingue ancora, nonostante i rifacimenti, l’edificio settecentesco, di gusto genovese, con il portale fregiato dallo stemma di famiglia. Tra il 1847 ed il 1853, contemporaneamente al Teatro Civico, nell’ambito della prima espansione della Spezia oltre il lato meridionale della cinta seicentesca, Giorgio V fece costruire il suo nuovo palazzo residenziale.
A differenza del teatro, il fabbricato volgeva l’affaccio principale verso il Prato della Marina, realizzando il primo modulo di piazza Vittorio Emanuele, occupata dai giardini pubblici dopo il 1870. Era un edificio di gusto eclettico, con portico neogotico dipinto a strisce bianche e nere pisano-genovesi con due volumi, uno a due e l’altro a tre piani, separati da un ampio terrazzo ornato con statue e stemma di famiglia. L’altezza del palazzo era coerente con quella dei fabbricati vicini, e della stessa via Chiodo, asse di rappresentanza della città arsenalizia, apprezzabile ancora oggi per le gradevoli proporzioni architettoniche.
A questa euritmia, che neppure le bombe hanno distrutto, sfugge tuttavia proprio il volume dell’ottocentesco edificio Doria nella sua ricostruzione postbellica. Poco distante, nei giardini pubblici, l’unica sopravvissuta a tante traversie, non pare serbarci rancore, perché ci guarda con il volto sorridente di Flora, una delle due statue che adornavano la balconata del palazzo.