Quando canta la civetta. Favole e leggende nate dalla fantasia popolare

Raccolte da Fabio P.P. Milani, edite da Tarka edizioni di Mulazzo nel settembre scorso

Il libro di Fabio Milani di Massa, studioso di cultura popolare, già nel titolo rimanda a simboli e incantesimi subdoli e arcani: Quando canta la civetta. Il fantastico, il diabolico, il macabro in racconti, leggende e favole dal mare all’Appennino nel territorio di Massa Carrara. In luoghi reali si aggirano diavoli, streghe e fantasmi di persone morte, protagonisti di storie e leggende di antica narrazione in cui il popolo ha cercato di tramandare la propria visione della vita, le proprie paure.
L’autore le ha ascoltate da persone che sono tornate sui sentieri della memoria e le ha ritrovate in se stesso quando bambino ascoltava zia Fedora che “trovò la felicità perché si accontentava del poco che aveva”.
Nella prefazione Giuliano Parenti osserva che i libri di leggende e fiabe sono considerati una letteratura marginale se non inferiore e la storiografia le considera fonti poco attendibili perché riscritte e contraffatte dai loro autori. Eppure le scienze umane nel Novecento vi hanno trovato importanti nuovi metodi per spiegare la condizione umana con analisi psicologiche e con i nuovi fondamenti teorici dell’antropologia.
Il padre della fisica nucleare Albert Einstein, che ha visto l’oggettiva struttura della materia, riconosce però che “il senso del mistero è il più bel sentimento che si possa provare” Il libro ha una geografia realmente identificabile, le storie sono ambientate nell’area di costa della nostra provincia e in Lunigiana a Mulazzo la maggior parte, ma anche Aulla, Fivizzano, Pontremoli, Licciana. I personaggi sono di fantasia, si va da diavoli travestiti e dispettosi a preti negromanti, a ciarlatani, fate permalose e streghe terribili, in prevalenza donne. Nella Storia reale purtroppo moltissimi sono stati i processi e roghi di presunte streghe, ma le streghe non esistono, erano solo donne messe ai margini, violentate o ribelli agli stili di vita dominanti, come rivela benissimo il film Dies irae capolavoro del grande regista danese C.T. Dreyer.
Di loro abbiamo solo le accuse degli inquisitori nei processi, si calcola che siano state bruciate in Europa a migliaia. Nelle favole di tradizione locale i morti sono sentiti come fantasmi inquietanti La prima parte del libro Quando canta la civetta è intitolata Fantasmi, sono leggende ambientate in prevalenza a Mulazzo. Con alcune varianti narrano del ballo dei morti in una radura presso Groppoli dove di notte si riuniscono e bramano di carpire la vita dei vivi; per un equivoco vi giungono due ragazze vive che si salveranno fuggendo terrorizzate.
Nei boschi di Mulazzo anche Bighelòn si imbatte in una comitiva di morti , tra cui un pontremolese, sono minacciosi, così come il fantasma che Orfeo incontra in vico della Dovana ad Aulla. Nei giorni prossimi alla Commemorazione dei Defunti si fa più forte il dispiacere che nei racconti popolari ci sia una visione così ostile e paurosa dei morti. Nelle veglie si parlava di apparizioni spaventose passando di notte vicino ai cimiteri, di case degli spiriti, di voci e suoni dal mondo dei morti.
Non è conforme alla teologia cristiana della morte, che è nascita alla vita eterna; è vero che c’è stata un’iconografia di teschi e scheletri ma in funzione pedagogica per ricordare di agire bene e andare in Paradiso, ammoniti anche dai mostruosi diabolici tormenti nelle immagini dell’Inferno in Giudizi Universali di sublime arte. In altre culture la vicinanza tra i vivi e i morti è serena, desiderata, i Celti cantavano e bevevano sentendosi in compagnia dei morti, così facevano anche gli Etruschi, presenze amiche erano i defunti per i greci: nella “tomba del tuffatore” di Paestum si sta a tavola insieme e senza dramma uno si tuffa nell’aldilà, i Romani pure portavano fiori e cibo sul sepolcro. Un poeta moderno che ha cantato la presenza dei morti accanto e all’interno di sé è Pascoli. (m.l.s.)