
Primi provvedimenti per abolire le leggi più discusse tra quelle approvate dal suo predecessore
Volendo affrontare l’argomento Biden – Harris, non si può non partire dal giorno del giuramento. Un 20 gennaio 2021 che – sia pure già “macinato” dalla velocità con la quale al giorno d’oggi le notizie vengono proposte e, immediatamente dopo, messe in secondo piano (quando non cancellate) nella memoria collettiva – ha tutte le caratteristiche per passare alla storia come uno dei cambi di inquilino della Casa Bianca più significativi. Si badi bene: non è detto che anche il duo Biden-Harris debba passare alla storia in modo automatico, dipende da come vorranno e sapranno muoversi nel quadriennio che hanno davanti.
Molti sono, comunque i dettagli che hanno contribuito a rendere netto lo stacco tra l’era Trump e quella inaugurata dal suo successore. L’aria di “normalità” che si poteva avvertire sul palco delle autorità. Le diverse etnie dei personaggi che si sono succeduti sul podio con diverse mansioni: tra le più appariscenti di certo Lady Gaga (origini italiane), che ha cantato l’inno nazionale, Jennifer Lopez (ispanica) con America the beautiful, la giovanissima Amanda Gorman, afroamericana di Los Angeles, che ha recitato una sua poesia composta dopo i fatti di Capitol Hill del 6 gennaio.
A fare la differenza, però, è stato di certo il discorso di Biden, appena insediato. Dopo lo scontato “sarò il presidente di tutti gli americani”, importante è stato il messaggio di unità nazionale e l’esortazione a “rispettare l’altro” perché “il disaccordo non diventi guerra mondiale. Dobbiamo respingere la cultura della manipolazione dei fatti o della loro invenzione”. “Abbiamo imparato una lezione dolorosa”, ha aggiunto, “ci sono verità e menzogne… ognuno di noi ha il dovere, e soprattutto i leader che hanno promesso di lavorare per il Paese, di sconfiggere la menzogna”. Poi un richiamo tipicamente americano: “Con tutta l’anima oggi chiedo a tutti di unirsi a me, per unire l’America, le persone, la nazione”, lasciando da parte “rabbia, risentimento, odio ed estremismo… Uniti possiamo fare grandi cose”. Quindi, il pensiero della grandezza del Paese è presente anche in Biden ma non è poca cosa il superamento del tronfio “America first”. Su questi ed altri simili principi si gioca la scommessa di Biden di dare una decisa sterzata alla politica del suo predecessore: se ci riuscirà potrà sperare di non essere dimenticato. Non ha molto tempo perché l’età alla quale giunge alla presidenza difficilmente gli permetterà di raddoppiare il mandato e allora sarà giudicato anche sulla sua capacità di preparare la strada alla sua vice, Kamala Harris, che, in tal caso, si impossesserebbe di un altro record: prima donna (in più afroamericana) alla Casa Bianca.
Le diverse anime della Chiesa in America
Il primo appuntamento del 20 gennaio per Biden è stata la messa di ringraziamento nella cattedrale di san Matteo: nessuna foto di rito perché da lui considerato un momento privato. La Chiesa ha mostrato interesse per l’insediamento di Biden.
A cominciare da Papa Francesco: “Prego che le sue decisioni – gli ha scritto – siano guidate dalla preoccupazione di costruire una società caratterizzata da autentica giustizia e libertà, insieme al rispetto intoccabile dei diritti e della dignità di ogni persona, specialmente i poveri, i vulnerabili e coloro che non hanno voce”.
Non così positivo il presidente della Conferenza episcopale americana, mons. Josè Gomez, che ha sottolineato che “il nostro nuovo presidente si è impegnato a perseguire determinate politiche che faranno avanzare il male morale e minacceranno la vita e la dignità umana, in maniera più grave in materia di aborto, contraccezione, matrimonio e genere”. Mons. Gomez ha espresso quindi la “grave preoccupazione” per “la libertà della Chiesa e la libertà dei credenti di vivere secondo coscienza”. Dichiarazioni che fanno riemergere la spaccatura tra i Democratici e parte della Chiesa cattolica americana.
Un segno importante è già dato dalla determinazione manifestata da Biden di por fine alla “guerra incivile” che ha caratterizzato soprattutto gli ultimi mesi della presidenza Trump. Quell’aspra diatriba “rossi contro blu”, repubblicani contro democratici, che ha avvelenato il clima politico americano.
E di valorizzare l’elezione della Harris: “Qui 108 anni fa migliaia di persone cercarono di bloccare donne coraggiose che manifestavano per il loro diritto al voto. Oggi celebriamo il giuramento della prima donna vicepresidente della storia americana: non ditemi che le cose non cambiano”. Un segno concreto di cambiamento, poi, è giunto dalla firma immediata di ben 17 provvedimenti che hanno invertito la rotta imposta da alcune leggi introdotte da Trump.
Tra le decisioni più significative: il nuovo impegno degli Usa nella lotta contro il cambiamento climatico e nell’Oms; l’obbligo di indossare la mascherina negli edifici e sui mezzi di trasporto federali; la revoca del muslim ban; lo stop alla costruzione del muro al confine con il Messico; la sospensione delle esecuzioni federali. Infine, è di questi giorni la decisione di continuare con la richiesta di messa in stato di accusa del presidente uscente in relazione al suo ruolo di istigatore e sostenitore delle manifestazioni violente del 6 gennaio, sfociate nell’assalto e invasione della sede del Congresso a Washington.
Antonio Ricci