L’arte sconosciuta del volo

26libroIl 23 aprile del 1961, in un piccolo Comune piemontese, Premosella Chiovenda (Provincia Verbano, Cusio, Ossola), nasce Enrico Fovanna. Un paese, quello di Fovanna, come tanti altri in Italia, circondato dal verde di una natura rigogliosa, tanto da far parte del Parco Nazionale della Val grande, meta di escursionismo alpino. La formazione culturale lo porta a Milano, metropoli dalle mille sfaccettature.
Qui, il 9 novembre del 1989, data storica, conosciuta nel mondo per la caduta del muro di Berlino, Fovanna viene assunto dal quotidiano “Il Giorno”, dove ancora lavora, occupandosi primieramente di temi sociali, quali l’immigrazione ed i diritti umani, ancor troppo disattesi e causa di enormi ingiustizie. Non tralascia reportage da Paesi in guerra come Iraq ed Afghanistan, con passione, realismo e competenza. Vari premi lo vedono vincitore, fra cui “Premio Stresa” del 1996.
L’arte sconosciuta del volo, edito da Giunti nel gennaio di quest’anno, mette in primo piano il fascino degli adulti per l’universo poetico e contradditorio dei bambini. Fantasia. Una sola parola per definire un mondo che attrae tutti, ma che sui bimbi ha un potere magico. Il bambino fantastica perché si lascia andare esplorando un mondo tutto suo, dove non esistono la logica e le regole dei grandi. Dove tutto può essere e sparire in un soffio. Dove niente è impossibile mentre il piccolo diviene “onnipotente”, perché, anche nelle situazioni più difficili, la fantasia è energia, curiosità, proiezione… da supportare e stimolare.
I tratti dell’animo umano, che da sempre caratterizzano l’uomo, ossia la bontà, la cattiveria, la generosità, la furbizia, l’ingenuità, il coraggio, la paura… trasmettono, da una generazione all’altra, emozioni e sentimenti, immaginazione e norme di convivenza. Noi adulti rimaniamo, ed è bello e giusto così, stupiti di fronte alla leggerezza – profondità dei bambini, rassegnati alla consapevolezza che mai potremo decifrare il mistero che ogni piccolo racchiude in sé. Il romanzo si può definire un noir che ruota attorno ad eventi, fatti, ricordi infantili, magari creduti dispersi nel passare del tempo, eppure vivi in qualche angolino del nostro cuore, pronti a riemergere nitidi più che mai.
Il fulcro del romanzo è il funerale di un bambino di nome Gioacchino, compagno e acerrimo nemico del protagonista Tobia (alias Enrico Fovanna). Non si conosce il nome del colpevole dell’atroce delitto e Tobia, tornato al paese che lo ha visto nascere, crescere, sognare, dopo quattro decenni, sente pulsante il desiderio di sondare le pieghe dell’animo umano, le angosce e il buio che, da adulti, scopriamo poi non essere tanto distanti da ciò che abbiamo sperimentato nel periodo dell’infanzia, non sempre “età beata”, come spesso viene definita.
Dentro di noi c’è un’altalena di sentimenti contrastanti: gioia, dolore, amore, odio… collaudati meccanismi che sfuggono ad ogni manomissione. Il protagonista sognava di volare al punto da percepire il movimento aereo delle gambe, “la plasticità, la velocità dell’acrobazia ed il corpo privarsi della forza di gravità”. A prima vista, il libro sembrerebbe un romanzo autobiografico, in effetti non lo è. Tobia lascia Milano, una Milano quasi “casalinga”, fatta di caseggiati con ringhiere in ferro; di osterie dove si mangiano cibi semplici, senza che il conto lieviti… Nel cuore il rimpianto del borgo natio, sinonimo di radici e di affetti mai scordati.
Perché, come asserisce Cesare Pavese, “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli: nella terra, nelle piante, nella gente c’è qualcosa di tuo che, anche quando non ci sei, resta ad aspettarti…” lo sanno bene i nostri tanti lunigianesi. Esuli incolpevoli.

Ivana Fornesi