
Nella Valle del Rosaro: itinerari fra storia, arte, natura, civiltà rurale e gastronomia

Vale la pena, oggi più che mai, rimanere in “prossimità” per trascorrere giornate distensive a contatto con testimonianze storiche ed archeologiche di ogni tempo, di castelli, di pievi, di gioielli naturali, di tracce di civiltà rurale ancora viva. La Lunigiana Orientale, in questo momento di grande difficoltà e con l’estate alle porte, può essere una meta perfetta per il turismo di vicinanza. All’ingresso del Comune di Fivizzano, sulla statale 63, il visitatore può inoltrarsi in una delle tre valli che contrassegnano il territorio fivizzanese, del Bardine, del Lucido, del Rosaro. “La Valle del Rosaro -Vallis rosarum dei romani -, nome carpito dalle rose canine protagoniste anche in molte sculture della zona, inizia a Soliera, dove il torrente, mai povero di acque, confluisce nell’Aulella, dopo averle condotte dal crinale dello spartiacque tra Toscana ed Emilia” (A. Putamorsi). Il primo borgo che si incontra, risalendo la valle, è Soliera, dove restano ancora scarni resti dell’antica pieve (se ne ha notizia nel 998) di Santa Maria Assunta. Oltrepassato Fivizzano, dopo pochi chilometri, in un luogo isolato, nei pressi di un albergo-ristorante sorge la seconda pieve della valle, di San Paolo di Vendaso. Nell’interno, che invita al raccoglimento, “sei austere colonne scandiscono lo spazio. Sono coronate da bassi capitelli, dove sono istoriati e scolpiti i soggetti più disparati: foglie, rosette, animali, esseri umani” (F. Rampone).
Ma non si può aggirare Fivizzano senza fare, per lo meno, una visita alla piazza, nota come Medicea, dove nel 1683, sotto gli auspici del Granduca Cosimo III, fu inaugurata la bella fontana dei quattro delfini marmorei. Il prof. Loris Jacopo Bononi suggeriva enfaticamente di invitare ogni “forestiero” che entrava nella piazza a prendere un caffè e di donargli un libro, ricordandogli che era giunto nella città di Jacopo da Fivizzano. Come, poi, non percorrere pochi chilometri e non salire a 900 metri di altitudine, fino al centro di Frignoli, struttura creata per la conservazione e la divulgazione della biodiversità delle specie animali e vegetali a rischio. Lì è possibile fare esperienze nella natura, vivere la biodiversità con molteplici attività, affrontare anche percorsi acrobatici sugli alberi douglas o inoltrarsi nel sentiero delle cinque foreste o visitare l’allevamento della trota appenninica e del gambero fluviale. E, infine, usufruire dell’area picnic, dotata di barbecue. O dei rinomati ristoranti di Casa Giannino e di Sassalbo, borgo di origine preistorica, che ebbe grande sviluppo nel Medioevo trovandosi sulla via Luni-Pianura padana, famoso per la cave di gesso, per i castagni secolari, per il film di Luigi Faccini “Sassalbo provincia di Sidney”, per essere sede del Parco dell’Appennino tosco–emiliano, per la sua gente laboriosa. Ma quant’altro sarebbe da segnalare con brevi deviazioni dalla statale: i borghi di Moncigoli, di Rometta, di Agnino e Magliano con il loro paesaggio agricolo, di Arlia con la sua rinnovata e spettacolare centrale idroelettrica e l’antico mulino ad acqua con meccanismo a ruota orizzontale, di Mommio, dove fu consumato il primo eccidio del 1944, di Pognana con la sua bella chiesa, di Bottignana, quasi deserta, di Cotto e Panigaletto, di Turano, Terenzano – nomi che rivelano origini romane, di Cerignano col suo convento, il castello di Verrucola, per non dire del centro storico del capoluogo. Quante informazioni storiche e culturali potrà dare il funzionario della Biblioteca, Francesco Leonardi, a chi a lui si rivolgerà! Per le attrattive delle altre valli rimandiamo ai prossimi numeri. Andreino Fabiani
Piazza Medicea

Piazza Medicea è senza dubbio la più nota di Fivizzano, così chiamata perché Cosimo III vi fece costruire la grande fontana centrale con i delfini di marmo. Il suo nome ufficiale è Vittorio Emanuele III. Negli atti notarili del 1389 di Ser Giovanni del Vasolo da Spicciano si parla, però, di una “platea sub ulmo”, di una piazza con al centro un grande olmo, sotto il quale la popolazione si riuniva per prendere decisioni. Viene spontaneo riandare con la memoria alla poesia “Comune rustico” di Giosuè Carducci, nella quale viene descritto un momento di “democrazia diretta”, quando le persone, all’uscita dalla Messa domenicale, si riuniscono all’ombra di una pianta per discutere ed organizzare il lavoro della settimana. La piazza, che pare sia stata conosciuta anche con i nomi di piazza del Mercato e piazza Maggiore, è contornata dalla Chiesa prepositurale e da bei palazzi costruiti da famiglie facoltose, una volta ripristinate le mura da Cosimo I. Pietro Tedeschi scrive anche che era tradizione piantare l’olmo nelle piazze davanti alle chiese, “accompagnato da un manufatto a forma di balcone: l’arengo, pulpito dal quale si arringava il popolo”. A.F.