
Lo scrittore di Berceto scomparso dieci anni fa, nel 2016 ha meritato un Meridiano Mondadori a cura del critico letterario Giovanni Ronchini che di recente ha tenuto una interessante conferenza all’UniTre di Pontremoli. Narratore, saggista e sceneggiatore, nel 1977 Malerba pubblicò anche un Repertorio dialettale emiliano

Luigi Malerba disse di se stesso “scrivo per sapere come la penso”: è un indizio per conoscere una personalità di rilievo nella cultura cinematografica e letteraria del Novecento, meno studiata di altre ma non meno profonda e originale.
Malerba è definito scrittore complicato, divertente, ironico da Giovanni Ronchini, autore di un acuto saggio “Dentro il labirinto. Studi sulla narrativa di Malerba” e curatore del Meridiano Mondadori che raccoglie i ”gioielli letterari” del narratore di Berceto, autore di romanzi anche per l’infanzia. Tante le storie inventate, rivelano l’ingegnosità dello sperimentatore, la pluralità e relatività dei fenomeni, gli impulsi anarchici e rivoluzionari della Neoavanguardia di cui Malerba fece parte, ma più “moderato” nel suo sperimentalismo rispetto alla rottura totale di forme e linguaggio dell’opera letteraria di un Edoardo Sanguineti o Elio Pagliarani.
Era nato a Pietra Mogolana
Nato presso Pietra Mogolana di Berceto nel 1927, è morto a Roma nel 2008, Malerba è nome d’arte, si chiama Luigi Bonardi, di famiglia agricola, studia nell’ottimo ginnasio- liceo Romagnosi a Parma con importanti professori e compagni che saranno anch’essi famosi (Attilio Bertolucci poeta, Baldassare Molossi originario di Gravagna di Pontremoli, direttore a lungo della Gazzetta di Parma, Luca Goldoni giornalista).
Malerba vive in questo ambiente molto vivace, decisivo per la sua formazione. Si laurea in giurisprudenza, ma scopre presto una sua passione sfrenata per il cinema, va a Parigi, a Parma fonda la rivista Sequenze, che vive solo due anni ma per lui è importante. Una sua prima opera letteraria è ambientata a Berceto e rappresenta il mondo contadino locale.
Va a Roma, collabora con sceneggiatori e con registi importanti: Zavattini, Lattuada , Pasolini, fa regia del film “ Donne e soldati” girato a Torre Chiara. Fa anche spot pubblicitari e passa poi a dedicarsi alla letteratura, entra nel Gruppo 63 della Neoavanguardia, la più importante rivoluzione delle forme e della lingua letteraria del Novecento dopo il Futurismo. Malerba è però più leggibile, usa meno il “disordine fecondo” e nei suoi romanzi non c’è l’impronta ideologica antiborghese degli altri.
Nel 2017 è uscito il Meridiano Mondadori “Gioielli letterari di Malerba” a cura di Giovanni Ronchini che ha tenuto sul tema una esauriente lezione a Pontremoli per Unitre. Nel 2015 è stato istituito con sede a Berceto il Premio Malerba per narrativa, sceneggiatura, cinema e tv.
Lavora molto sulla parola, ne è affascinato, conia neologismi leggeri e arditi nello stravolgere parole come anagrammi, usa frasi brevi, secche e lapidarie con gusto del paradosso e un continuo registro ironico, l’esempio migliore è nel “Pataffio” che presenta un Medioevo fantastico detto in lingua inventata: mancando il cibo materiale i poveri mangiano le parole!
Libri che definiva “anfibi” da leggersi insieme genitori e figli. Amava anche le parole “abbandonate”, raccolte nel 1977 in un Repertorio dialettale emiliano di difficile reperibilità e “Parole al vento” è l’ultimo saggio pubblicato nel 2008, anno della sua morte.
Dopo la collaborazione alla sceneggiatura di film importanti come Il cappotto di Lattuada, tratto dalla novella di Gogol, Corrida, Madame Bovary per la Rai, Anna (nome della moglie) con Zavattini, l’esordio nella narrativa è con La scoperta delle parole, ambientato a Berceto nella quotidianità contadina. Non sono romanzi coi canoni del movimento del Neorealismo, sono “nostalgici, onirici, portano oltre la realtà”: la poetica di Malerba ha riferimenti a Italo Svevo (pluralità dei punti di vista), a Pirandello sulla verità della finzione: i personaggi creati dall’immaginazione sono più veri della realtà, solo l’arte è verità: Sancho Panza, don Abbondio “vivono per l’eternità”.
I capolavori di Malerba sono Il pianeta azzurro per i tanti piani strutturali, Il fuoco greco, Itaca per sempre per la poetica del monologo e dello scavo interiore dei personaggi: Penelope davvero non riconosce Ulisse o fa finta? Negare la realtà per ricostruirla con consapevolezza critica la buona letteratura lo fa da sempre: per Malerba la via è capovolgere con l’ironia, mettere tutto in discussione, trovare parole vive, pronunciate e contraddette.
“Poveri homini”, edizione a stampa del manoscritto
“Cronaca parmense del sec. XVI” del parroco di Berceto
Il manoscritto è nella biblioteca Palatina di Parma, stampato nel 1976. Questa cronaca parmense è una rara testimonianza “dal basso” stesa dal 1543 al 1557 dal parroco di Berceto Giorgio Franchi. Malerba nella presentazione di Poveri Homini scrive che si tratta di un diario sulla quotidianità e materialità dei fatti in cui “si muovono con furbizia e dolore i paesani di Berceto a trafugare sacchetti di sale grosso provenienti dalla Lunigiana, a difendere dalla rapina feudale il bestiame, le biade, il pane e le castagne appena bastanti alla sopravvivenza”. Il prete conosce bene e stima i suoi bercetesi che non accettano tanto passivamente le imposizioni dei delegati dei signori (i Rossi, Landi, Farnese) che pretendono di controllare il peso del pane, le misure degli osti; si ribellano e subiscono feroci repressioni. Trascrive senza retorica “con la discrezione del parlare privato e sottovoce che si traduce in una profonda evocazione emotiva”. Gli avvenimenti hanno un quadro di riferimento più vasto di atti e guerre di papi e re, la nascita nel 1545 del Ducato Farnese a Parma con Pier Luigi figlio di papa Paolo III, la congiura che lo uccide due anni dopo, la riconquista del potere col figlio Ottavio nella guerra di Parma del 1551 piena di intrighi e capovolgimenti di alleanze. Il parroco raccoglie le notizie nelle strade o nell’osteria e dà giudizi duri di uomo libero, di fatto guida spirituale e politica di poveri homini che resistono agli “homini di conto”. Il diario è “parlato” come registrato in presa diretta, con uso di parole dialettali e in italiano comune che “se impara da sé: un documento linguistico forse unico nella sua originalità. Alcune voci bercetesi: mostazano (schiaffo), zupello (scarpata), coreza (corda), magistro (muratore), pello (divisa), spoverino (folata di vento), salaroli (contrabbandieri pontremolesi del sale). (m.l.s.)
Maria Luisa Simoncelli