
Un progetto per ricercare i migranti scomparsi durante o dopo il viaggio
“Da quando nostro figlio è scomparso tutto è cambiato. È un inferno che non ti posso raccontare, che non puoi neanche immaginare”. A parlare è la madre di Raouf Hidouci, un algerino di cui non si hanno più notizie dal 15 marzo 2007. Da quel giorno maledetto in cui il ragazzo ha deciso di prendere una delle “barche della morte” per fare la traversata nel Mediterraneo, non ha più smesso di piangere: “I miei occhi non hanno più lacrime”.
Lei e il marito vivono ad Annaba, e ancora stanno cercando quel ragazzo nato nel 1984, di cui si sono perse le tracce dopo essere stato intercettato in mare e riportato in Tunisia. Forse torturato in carcere, forse scambiato per un terrorista. Meherza Raouafi, madre di Mohamed, abitava in Tunisia con i sei figli mentre il marito lavorava da 30 anni in Francia.
Il 14 marzo 2011, a 18 anni, Mohamed si è imbarcato per raggiungere la sorella che lavora a Parigi: da allora di lui non si sa più nulla. “È uscito di casa alle 5 del mattino e mi ha telefonato dalla barca chiedendomi di dargli la benedizione. Alle 21.30 mi ha detto che avevano toccato terra. Da allora non l’ho più sentito”.
Le loro storie e quelle di tanti altri familiari di questi nuovi “desapararecidos” è raccolta in un video e pubblicata sul sito “Missing at the borders“, un progetto che vuole dare voce al dolore delle famiglie dei migranti morti, scomparsi o vittime di scomparsa forzata nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare.
L’iniziativa è autofinanziata e promossa da una rete di organizzazioni attive su entrambe le sponde del Mediterraneo, capofila Milano senza frontiere, che da tre anni, ogni primo giovedì del mese, organizza una marcia silenziosa a piazza della Scala con le foto di alcuni migranti algerini e tunisini scomparsi durante o dopo la traversata nel Mediterraneo, sullo stile delle madri e nonne argentine di Plaza de Mayo.
Tra i partner anche Watch the Med, una piattaforma internazionale che segnala i natanti in difficoltà e monitora le violazioni dei diritti umani.
Il principio che muove il progetto “Missing at the borders” è molto semplice: “Sono persone, non numeri”. Dall’inizio del 2018 oltre 1.500 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo, decine di migliaia dal 2000 ad oggi. La richiesta di attivisti e famiglie dei migranti che viaggiano in maniera irregolare – in arabo “harragas” – è tanto semplice quanto incredibilmente impraticabile con le politiche europee di oggi: dare la possibilità di entrare regolarmente in Europa per non costringere le persone a rischiare la vita affidandosi ai trafficanti di morte.