Con la morte del dittatore Fidel Castro e la nuova presidenza Usa. A rischio il processo di distensione?

“Hasta la victoria, siempre”. Così, con le parole di Che Guevara, una sorta di dichiarazione di intenti della sinistra rivoluzionaria sudamericana e non solo, Raúl Castro ha annunciato la morte del fratello Fidel, forse, l’ultimo comunista sopravvissuto alla fine del socialismo reale.
Personaggio controverso, Castro ha raccolto sia il plauso di coloro che lo hanno considerato, giustamente, interprete dei valori di riscatto degli umili, sia l’odio, anch’esso comprensibile, di quanti della sua dittatura sono state vittime, costretti a lasciare l’isola caraibica e le proprie famiglie per sfuggire al regime dell’Avana.
Castro è stato l’artefice della rivolta contro il generale Batista, lo sconfitto nello scontro della baia dei Porci, il Lider máximo della rivoluzione socialista cubana, uno dei protagonisti di quei giorni del 1962, quando, con la crisi dei missili sovietici a Cuba, il mondo rischiò di precipitare in una nuova guerra. Ma anche il politico che ha saputo giostrarsi così da impedire al colosso USA di togliersi quella spina nel fianco che si era rivelata (ed ha continuato a essere tale per decenni) Cuba.
Oggi Fidel Castro è morto e per molti resterà – così come Che Guevara – un’icona di quella “rivoluzione socialista e democratica degli umili, con gli umili e per gli umili” che ha ispirato molti di quanti – come lui – hanno creduto che, pur essendoci “in ogni epoca molti pretesti per non lottare, mai, senza lottare, si potrà ottenere la libertà”. La sua parabola politica si era comunque già conclusa una decina d’anni or sono, quando aveva lasciato il potere al fratello Raúl che ha lentamente eroso i fondamenti di quel regime socialista che Fidel aveva costruito e di cui è stato il garante. Obama lo ha capito e, primo fra i presidenti USA, è volato all’Avana per aprire un processo di distensione che sperava potesse essere portato a compimento da un suo successore appartenente al partito democratico.
Ma oggi alla Casa Bianca si appresta ad entrare Trump, che, fra una contraddizione e l’altra, non pare disponibile a percorrere la medesima strada: al presidente uscente non è rimasta altra scelta che disertare i funerali dell’anziano Lider maximo, per il quale i vescovi cubani oggi chiedono ai fedeli la preghiera ed al “Signore Gesù che nulla turbi la convivenza tra noi cubani”, affidandoli alla Vergine della Carità del Cobre affinché ella li “protegga e animi ad operare uniti, per realizzare il sogno al quale José Martí (il padre della indipendenza cubana) dedicò la sua vita: una Patria con tutti e per il bene di tutti”.
Giulio Armanini