
La comunità dei fedeli e la liturgia. Nei dodici anni di pontificato, Papa Francesco ha aperto nella Chiesa cattolica molti processi e portato non poche novità.

(Foto Vatican Media/SIR)
Fiumi di inchiostro sono stati scritti sul pontificato di papa Francesco, forse un po’ troppo “tirato per la talare” secondo convenienze ideologiche.
Ciò che scandalizza i più è un’affermazione semplice: per buona parte del suo ministero papa Francesco non ha inventato nulla di nuovo, ma ha semplicemente recuperato lo spirito della Chiesa delle origini, quella narrata dagli Atti degli Apostoli e predicata dai Santi Padri, da riscoprire secondo i dettami, ancora troppo inascoltati, del Concilio Vaticano II.
Sì, si può affermare che papa Bergoglio avesse a cuore l’applicazione dei dettami del concilio, che ha voluto spostare le lancette dell’orologio nuovamente alla Chiesa primitiva, ove i cristiani evangelizzavano “volendosi bene”, creando scandalo perché predicavano non un dio despota e irraggiungibile, ma un dio che invita alla sua mensa, che chiama amici gli uomini e che, con la sua morte e risurrezione, ha salvato tutti (bravi, cattivi, belli, brutti, pubblici peccatori, ladri, assassini, prostitute).

Papa Francesco, gridando al mondo che Dio ama e invita tutti alla sua tavola, ha voluto tenere unita la Chiesa, che venti di dottrina differenti rischiano tutt’ora di dividere. L’unità della Chiesa è frutto della partecipazione all’unico pane e all’unico calice: sennò i cristiani sarebbero solamente i soci di una ong, dedita al filantropismo, sempre respinto dal papa fin dalla sua prima omelia nella Cappella Sistina.
Un’unità che rischiava di essere incrinata dalla celebrazione di una “forma straordinaria” del rito romano, anteriore alla riforma conciliare: se, infatti, a una sola lex orandi corrisponde una sola lex credendi, due forme di lex orandi avrebbero potuto portare a due credi differenti.
Ribadendo che il Messale, approvato da Paolo VI, è l’espressione ordinaria dell’una lex orandi della Chiesa, papa Francesco ha voluto ribadire che la comunione ecclesiale scaturisce, come frutto primario, dall’unico pane spezzato all’interno di un rito uguale per tutti.

Benché letta come un affronto da coloro che erano usi celebrare secondo il rito antecedente la riforma del Vaticano II, Traditiones custodes è stato voluto per evitare la creazione di comunità separate ed elitarie: la Chiesa sarà veramente unita se partecipa tutta insieme all’unico pane e all’unico calice, veri farmaci per i deboli e non premi per i buoni.
Ecco che il magistero di papa Francesco ci ha donato anche una lettera apostolica, Desiderio desideravi, sulla formazione liturgica del popolo di Dio, che, adeguatamente formato, non resti ancora muto spettatore di “cerimonie”, ma celebri “attivamente” il memoriale della passione e risurrezione di Cristo, che Lui stesso ha affidato alla manducazione dell’unico pane spezzato.
Come spesso ribadito, ciò non significa banalizzare il rito, renderlo “accattivante”, ma papa Francesco ha voluto ribadire che una Chiesa formata liturgicamente può partecipare pienamente e celebrare il memoriale di Cristo e, perciò, ottenere quell’unità che nessun’altra azione, benché lodevole, può elargire. Ut unum sint.
Riccardo Bassi
Vicedirettore Ufficio diocesano di Liturgia e Musica Sacra