No al CPR a Pallerone e al Centro  dell’Annunziata

Migranti e richiedenti asilo: Aulla e Pontremoli da una parte, Ministero e Prefettura dall’altra

Due notizie, due aspetti diversi ma affini, un solo soggetto: donne e uomini in fuga dalla propria terra. Da un lato l’ipotesi di realizzare un CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) ad Aulla, nell’area di Pallerone negli spazi dismessi dalla ex Cjmeco; dall’altro la destinazione di un immobile alla SS. Annunziata di Pontremoli all’accoglienza temporanea di migranti richiedenti asilo in attesa che la loro pratica venga valutata.

Ipotesi di realizzare un CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) ad Aulla, nell’area di Pallerone negli spazi dismessi dalla ex Cjmeco. Netto il “no” di Valettini sicuro di farsi “interprete della volontà dei miei cittadini”
Foto del gennaio 2025, con un sopralluogo del sindaco Valettini nell'area abbandonata dell'ex Cjmeco
Foto del gennaio 2025, con un sopralluogo del sindaco Valettini nell’area abbandonata dell’ex Cjmeco

Nel primo caso, a “svelare” la possibilità che a Pallerone possa sorgere un CPR era stato il sottosegretario del Ministero degli Interni del Governo Meloni, Nicola Molteni, durante un congresso del sindacato di polizia Sap.

In realtà era emersa già a fine 2023 nel piano governativo per nuovi CPR in Italia. All’epoca erano emersi anche alcuni dettagli, in particolare quello che la struttura avrebbe potuto ospitare almeno 120 persone in attesa di rimpatrio. Appena rilanciata, la notizia ha provocato il “no” del sindaco PD di Aulla, Roberto Valettini che con la propria contrarietà si è detto sicuro di farsi “interprete della volontà dei miei cittadini”, anche in merito alla scelta del sito.

Contro anche il Partito Democratico della Toscana e quello provinciale: un rifiuto basato sulla contrarietà a Centri di quel tipo: una iniziativa – ha scritto il PD di Massa Carrara – che è “un passo indietro inaccettabile per una regione come la Toscana, da sempre simbolo di rispetto dei diritti umani e di accoglienza”. Improponibile, cioè, che fenomeni come le migrazioni possano essere gestiti con la creazione “di strutture destinate alla detenzione delle persone, spesso in condizioni che sollevano gravi dubbi sul rispetto della dignità e dei diritti fondamentali”.

A Pontremoli si parla della destinazione di un immobile alla SS. Annunziata di Pontremoli all’accoglienza temporanea in attesa che la loro pratica venga valutata. Il sindaco Ferri ha eccepito che i locali a disposizione possano ospitare il numero di persone previste 
Il santuario e il convento della SS. Annunziata.

Di altra natura il tema “caldo” a Pontremoli, ma sempre di persone migranti si parla: per mesi si sono protratti i lavori di ristrutturazione nell’immobile a due piani che si affaccia sulla piazza dell’Annunziata, storica sede di un bar prima e di un ristorante poi. A quanto pare sarebbe stato acquisito da un privato per affittarlo nell’ambito degli spazi che la Prefettura di Massa Carrara utilizza per ospitare temporaneamente persone che, arrivate in Italia, hanno chiesto asilo nel nostro Paese.

Ora che i lavori, a quanto pare, sono conclusi è intervenuto il Comune con una serie di osservazioni circa l’inidoneità dell’edificio, rimasto abbandonato per lunghi anni. Contrariamente a quanto avrebbe certificato l’ASL, il sindaco, Jacopo Ferri, ha eccepito che i locali a disposizione non possono ospitare il numero di persone previste (almeno 25).

Carenze strutturali, destinazione d’uso del piano terra non compatibile con la residenzialità, vicinanza del fiume con conseguente pericolosità idraulica e altri rilievi. Un sopralluogo congiunto effettuato la scorsa settimana dal sindaco e dal vice prefetto avrebbe confermato la diversità di vedute tra le due istituzioni: non idoneo per il Comune, idoneo per la Prefettura. Pareri diversi per un braccio di ferro che potrebbe sfociare in un contenzioso vero e proprio.

Non nel mio giardino. E in nessun altro luogo
Centro di accoglienza della Croce rossa Italiana, per i profughi fuggiti dall'Afghanistan. Ph: Cristian Gennari/Siciliani
Centro di accoglienza della Croce rossa Italiana, per i profughi fuggiti dall’Afghanistan. Ph: Cristian Gennari/Siciliani

Quella dei CPR è una storia lunga, che attraversa trasversalmente governi di ogni orientamento. Furono istituiti nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano con il nome di CPT (Centri di Permanenza Temporanea), poi denominati CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) dalla Legge Bossi-Fini del 2002, ed infine rinominati CPR dalla Legge Minniti-Orlando del 2017.

Le modifiche che si sono succedute non hanno cambiato la natura di strutture di detenzione amministrativa ove vengono reclusi i cittadini non comunitari trovati sprovvisti di un regolare documento di soggiorno dopo un normale controllo, o dopo la scadenza di un precedente permesso di soggiorno, ma anche subito dopo essere sbarcati in Italia in un’operazione di soccorso e si dichiara di provenire da un paese considerato “sicuro”. Ogni anno transitano dai dieci CPR italiani (per un totale di 1.300 posti) poche migliaia di persone, e l’Italia ne rimpatria circa la metà; l’altra metà torna in libertà, da irregolare, a sancire l’inefficacia dei centri.

La durata massima della detenzione amministrativa, fissata in origine in 30 giorni, è aumentata fino agli attuali 180 giorni, che possono diventare 12 mesi nel caso di ricorso contro la negazione della domanda di asilo: un regime di privazione della libertà personale sproporzionato rispetto all’infrazione di una disposizione amministrativa (e non penale!), quale è il possesso del permesso di soggiorno per il cui ottenimento i migranti devono sottoporsi a procedure artatamente lunghe e macchinose.

A rendere ancora più grave la situazione è la gestione appaltata ad aziende private, criticate per le condizioni disumane e degradanti in cui si trovano le persone detenute. Piccole rivolte, così come gesti di autolesionismo e tentativi di suicidio sono piuttosto frequenti nei CPR, proprio a causa di condizioni detentive giudicate incompatibili con il rispetto dei diritti umani e per la mancanza delle tutele e delle garanzie che sarebbero previste nel caso di un soggiorno in un vero e proprio carcere. Di fronte ad una situazione del genere, in un’Italia e in un’Europa che elevano i diritti e la libertà a loro valori fondanti, il tema non è se l’ex polverificio di Pallerone è idoneo a diventare CPR, o se è meglio identificare altre soluzioni in Lunigiana o fuori dalla Lunigiana, comunque nell’egoista logica del “non nel mio giardino”. La questione, piuttosto, è la chiusura dei Centri già esistenti: inefficaci, costosi e luoghi di negazione della dignità della persona.