
In Italia gli stipendi dei laureati sono più bassi rispetto ai principali paesi esteri europei. Emerge una nuova consapevolezza: giovani sempre meno disponibili ad accettare lavori non coerenti con gli studi intrapresi
Il consorzio interuniversitario AlmaLaurea, che riunisce la maggior parte degli atenei italiani al fine di rilevare dati statistici inerenti al mondo universitario, ha pubblicato come ogni anno un rapporto riguardante il profilo dei neolaureati e la loro condizione occupazionale. Nel documento vi sono alcuni particolari dati che possono fornire vari spunti sulle richieste cui le nuove generazioni pongono maggiore attenzione, in una società e in un mondo del lavoro sempre più dinamici e complessi.
Emerge innanzitutto una nuova consapevolezza da parte dei laureati del proprio percorso, che li porta ad essere sempre meno disponibili ad accettare lavori non coerenti con gli studi intrapresi: vale per il 76,9 per cento dei triennali e il 73 per cento di quelli magistrali; queste percentuali sono da considerarsi come calanti rispetto al 2022 rispettivamente di 5,9 e 3,0 punti percentuali.
Inoltre, solo il 38,1 per cento dei neolaureati triennali e il 32,9 per cento di quelli magistrali sarebbe disposto a svolgere un impiego retribuito con uno stipendio massimo di 1.250 euro. Rispetto all’anno precedente si assiste ad un calo rispettivamente di 8,9 e di 6,8 punti percentuali.
Le rivendicazioni di tipo economico si situano in un contesto che vede gli stipendi dei laureati più bassi rispetto ai principali paesi esteri europei, avendo la laurea in Italia un ritorno economico minore. Un neolaureato magistrale guadagnerebbe all’estero 2.174 euro netti, una volta e mezzo tanto rispetto ai 1.400 che prenderebbe qui in Italia. Un esempio, questo, che apre il grande dibattito sul fenomeno della “fuga dei cervelli”, che senz’altro ha in questo aspetto uno dei fattori più influenti.
Per la prima volta da dodici anni, escludendo il periodo pandemico, il tasso di occupazione a un anno dalla laurea è sceso di più di un punto percentuale, passando dal 75,4 al 74,1 per i triennali e dal 77,1 al 75,7 per i magistrali. A cinque anni invece la percentuale di occupati è intorno al 90 per cento. Di questi, i più pagati (2.146 euro al mese) sono i laureati in ambito informatico, mentre in fondo alla classifica, con 1.412 euro al mese, gli insegnanti e i laureati in ambito di formazione.
Un altro spunto di riflessione proviene da un dato allo stesso tempo significativo e allarmante: il raggiungimento di un titolo di studio terziario da parte di un giovane è ancora oggi troppo legato alla composizione socio-economica della famiglia del ragazzo. Un laureato su tre, 31,3%, è figlio di laureati (mentre nel 2013 la percentuale era del 27,6%). E fra i laureati il 22,4% ha genitori imprenditori, liberi professionisti o dirigenti. Un altro 22,8% ha genitori con professioni impiegatizie.
La questione però non è solo di carattere culturale, ma deve tener conto anche dei sempre maggiori costi che la frequenza dell’università impone, costi che non tutti possono accollarsi e che andrebbero quindi mitigati con politiche mirate a far sì che il diritto allo studio possa effettivamente essere messo in pratica da tutti.
È poi interessante notare il dato che indica la percentuale di studenti laureati regolari: i due terzi (61,5%) sono riusciti a concludere il proprio percorso nei tempi previsti. Una percentuale che, a causa dell’effetto della pandemia del Covid, ha subito un lieve ridimensionamento (-1 per cento) dopo anni di miglioramento.
L’età media di laurea per il 2023, comprendendo anche chi si è iscritto in ritardo rispetto alla maturità, è pari a 25,7 anni, 24,5 per i laureati della triennale e 27,1 per i magistrali e le lauree a ciclo unico. Infine, il rapporto sottolinea anche qualche nota positiva.
In aumento rispetto a dieci anni (90,5%, rispetto all’86% del 2013) fa il numero di coloro che complessivamente si dichiarano soddisfatti dell’esperienza universitaria appena conclusa. E anche il voto medio di laurea, soprattutto per le lauree magistrali, è passato da 102,4/110 a 104/110, con un rialzo di quasi due punti.
Sono poi dati in aumento quelli relativi a laureati con esperienze di studio all’estero (9,8%, +1,5 punti percentuali rispetto al 2022), con conseguente apprendimento di una lingua straniera, e a laureati con esperienze di tirocinio curriculare (60,7%, + quasi 4 punti percentuali rispetto al 2021).
A parità di condizioni chi ha svolto un periodo di studio all’estero riconosciuto dal proprio corso di laurea ha maggiori probabilità di essere occupato rispetto a chi non ha mai svolto un soggiorno all’estero (+17,1%), mentre chi ha svolto un tirocinio curriculare ha il 6,6% di probabilità in più di essere occupato a un anno dal conseguimento del titolo rispetto a chi non ha svolto tale tipo di attività.
Assi nella manica da giocare in quel grande tavolo che è il mercato del lavoro, caratterizzato da molte variabili e una sempre maggiore dinamicità, e che vede dunque i neolaureati più attenti e selettivi riguardo a proposte di lavoro che devono essere giustamente retribuite, ma anche stimolanti ed appaganti.
Mattia Moscatelli