Il ritiro di Biden riapre il discorso per le elezioni Usa?
Il presidente degli Stati Uniti d'America Joe Biden con la vicepresidente Kamala Harris
Il presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden con la vicepresidente Kamala Harris

Biden alla fine si è arreso. Il 27 giugno, data del suo disastroso confronto televisivo con lo sfidante Donald Trump, è il giorno che ha segnato la fine di un sogno che ormai era solo suo. Ha cercato di resistere alle pressioni che arrivavano da ogni parte: media, donatori (molti cominciavano a ritirare i contributi), attori, deputati, senatori ed ex presidenti. Ha cercato di dimostrare la sua vitalità rilasciando interviste, partecipando a comizi. Ma ha dovuto arrendersi all’evidenza di un declino fisico che si stava manifestando in tutta la sua drammaticità. è la prima volta nella storia americana che un candidato presidente si ritiri dalla competizione a cento giorni dalle elezioni. Il suo ritiro è accompagnato dal suo pieno appoggio alla vice presidente Kamala Harris come candidata del partito democratico alle elezioni di novembre.

Kamala Harris
Kamala Harris

La decisione di Biden in qualche modo costringe i partiti in competizione a rivedere le proprie strategie. Sembrava che non ci fosse partita. Biden era in caduta libera e Tramp, uscito illeso dall’attentato, sembrava incamminato verso una incoronazione trionfale. Oggi sembra che la Harris, appoggiata ormai da quasi tutti i governatori democratici, sostenuta dai Clinton, da Nancy Pelosi, soprattutto dai donatori (in pochi giorni sono stati raccolti circa 90 milioni di dollari), cominci ad avere qualche possibilità di successo. C’è ancora il silenzio degli Obama, ma tutto fa pensare che non tarderà ad arrivare il loro sostegno. è una strada tutta in salita perché i tempi sono stretti e perché la Harris, finora figura di non grande spessore all’ombra di Biden, dovrà dimostrare di avere lo spessore dello statista. La strategia di Tramp dovrà cambiare in corsa i suoi obiettivi. Aveva concentrato tutto sull’età di Biden, dileggiando le sue difficoltà e confusioni senza alcuna pietà e senza alcun rispetto. Ora è lui il “vecchietto”, ora è lui il candidato presidenziale più anziano della storia americana.

La campagna di Trump continua ad essere spietata. All’inizio del suo intervento alla Convention aveva iniziato promettendo di “guarire le divisioni” che affliggono il Paese condannato alla “criminalizzazione del disaccordo politico”. La sua mano tesa è durata poco. Ha subito attaccato i democratici accusandoli di “distruggere il nostro Paese”, ha parlato di “leadership incompetente” e accusato gli avversari di aver favorito l'”invasione di milioni di clandestini” che hanno “fatto schizzare verso l’alto i reati”. Non si sprecano gli insulti (la Harris dichiarata pazza e bugiarda), ma il cavallo di battaglia resta l’immigrazione. “E ora, guarda cosa ha fatto al nostro Paese, con milioni di persone che attraversano il nostro confine, totalmente incontrollate, molte provenienti da carceri, istituti psichiatrici e un numero record di terroristi”. C’è la ricetta: “Lanceremo la più grande deportazione della nostra storia”. Parole che evocano tristi ricordi. è difficile pensare che sia uomo di pace.

Giovanni Barbieri