L’analisi del voto: il governo perde 1,2 milioni di voti.  Ma l’opposizione  non è in grado  di insidiarlo

Un’analisi dei voti assoluti in un contesto di grande astensione offre una lettura del voto europeo molto diversa dal successo rivendicato da Giorgia Meloni. Ma un’opposizione divisa e in parte sconfitta fatica a presentarsi come una credibile alternativa alla destra di governo

Sarebbe interessante capire cosa intendesse precisamente Giorgia Meloni quando nel commento a caldo dopo il voto ha detto “questa notte è ancora più bella di quella di due anni fa”, con riferimento allo spoglio delle elezioni politiche che la portarono a Palazzo Chigi.
Già, perché certamente FdI consolida il suo primato di partito più votato; e la coalizione di governo ottiene il 47,4% dei consensi, una percentuale che con la legge elettorale in vigore per l’elezione del Parlamento nazionale consentirebbe alla destra di essere confermata al governo, con il centrosinistra e i Cinque Stelle (se si presentassero uniti) al 40,8%. Se ci si fermasse a questi dati, emersi dal voto europeo di sabato e domenica scorsa, la Presidente del Consiglio avrebbe ragione di manifestare la sua soddisfazione.

Giorgia Meloni (FdI)

Ma se si guarda ai dati assoluti, la prospettiva per Meloni cambia. Comparare le percentuali è infatti un esercizio valido quando la partecipazione al voto è stabile. Non è questo il caso. Alle Politiche del 2022 votò il 63,91% degli italiani; alle europee di domenica ha votato il 49,69% del corpo elettorale.
La differenza è di quasi 4,9 milioni di schede in meno depositate nelle urne: uno scostamento così evidente che richiede un’analisi diversa.
Certo: in democrazia conta l’opinione di chi partecipa al voto, non di chi si astiene, per cui il primato della destra rimane fuori di discussione. Ma i voti assoluti su cui si sorregge questa leadership rendono per Meloni la notte dello spoglio più inquietante che bella.
A 20 mesi dall’inizio della legislatura la coalizione di destra perde oltre 1,2 milioni di consensi. Fratelli d’Italia perde 603 mila voti, la Lega 376 mila, Forza Italia 296 mila. Più che le preferenze personali raccolte dall’ineleggibile “Giorgia”, l’esito più autentico del plebiscito personale da lei promosso dopo due anni di governo (“nella peggiore situazione possibile” ha dichiarato la premier con il consueto vittimismo) è che su 100 italiani che nel settembre 2022 diedero fiducia alla coalizione di destra, 11 hanno ritirato il loro consenso.
Il fatto che i voti fuggiti dalla coalizione di governo non siano andati ai partiti di centrosinistra ma al partito dell’astensione non sminuisce la portata del fatto.
C’è poi il confronto con le ultime elezioni europee a rendere più preoccupante il quadro per Meloni: nel 2014 Renzi, da 4 mesi al governo, portò a casa 2,5 milioni di voti in più rispetto alle politiche del 2013; nel 2019 Salvini incrementò i voti della Lega, al governo da poco più di un anno, di 3,5 milioni rispetto alle politiche del 2018.
Il fatto che un così ampio credito successivamente si alienò non cancella il fatto che Giorgia Meloni è andata in controtendenza: verrebbe da dire che la luna di miele con l’elettorato è già finita. Riuscirà l’opposizione a costruire un’alternativa credibile sulle basi di quanto espresso dai cittadini lo scorso fine settimana? Difficile, almeno per quel che si vede adesso.
Il Movimento 5 Stelle (nella foto Giuseppe Conte) perde in 20 mesi oltre 2 milioni di voti, pagando non solo l’assenza di una classe dirigente e di un radicamento locale quando non è in gioco il voto politico, ma anche lo sterile balletto portato avanti da Conte nell’ultimo anno relativamente all’alleanza con il Partito Democratico, che ha mascherato un vuoto programmatico che le proteste antisistema non possono più colmare.
Il Partito Democratico, preso singolarmente, non esce male dalla consultazione: i 5 punti percentuali guadagnati si traducono in 250 mila voti in più rispetto alla fallimentare gestione di Enrico Letta.

Elly Schlein (PD)

Un dato incoraggiante per Elly Schlein, ma non troppo: da un lato perché l’identità del suo partito continua a rimanere ambigua, sulla politica estera come su quella economica (non di soli diritti civili vive una proposta politica) e la litigiosità interna molto alta, ma anche perché al centrosinistra manca anche una coalizione stabile e identificabile, come quella trentennale della destra.
La generica idea di “campo largo” non appare sufficiente a vincere un’elezione politica, a maggior ragione dopo un’elezione in cui non solo i potenziali alleati grillini sono andati alla deriva, ma anche la piattaforma liberista e atlantista mescolata a personalismi, trasformismi e una buona dose di cinismo politico, incarnata dai partiti personali e dalle alleanze modulabili di Renzi, Calenda e Bonino, ha perso in 20 mesi 1,3 milioni di voti.
Il successo dell’Alleanza Verdi-Sinistra, capace di 540 mila voti in più, è un segnale politico importante ma non sufficiente a risolvere i problemi dell’opposizione.
Insomma, se i nodi che stanno per arrivare al pettine (la prossima legge di Bilancio con 19 miliardi da trovare solo per riconfermare le misure di quella precedente e un Patto di Stabilità particolarmente severo) non pregiudicheranno la tenuta del governo, non sarà certo grazie ad un consenso popolare tutt’altro che in crescita, quanto all’assenza di una credibile proposta politica alternativa.

(Davide Tondani)