
La visita “ad Limina” ha radici antiche: fin dai primi secoli della storia cristiana erano consueti i pellegrinaggi da parte dei fedeli alle tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Una tradizione dal profondo senso cristiano per rendere omaggio a Pietro “che per primo confessò la fede nel Cristo” e a Paolo “che illuminò le profondità del mistero”.
Per motivi logistici e per varie decisioni (regolamentate nel corso del tempo), attualmente sono i vari vescovi che, in nome delle diocesi di cui sono guida, compiono quest’atto in modo ufficiale.
La loro visita a Roma è anzitutto un vero e proprio pellegrinaggio per pregare nelle quattro principali basiliche romane: San Pietro in Vaticano, San Paolo fuori le Mura, Santa Maria Maggiore e San Giovanni in Laterano (quella che è “Mater et Caput” cioè Madre e Capo di tutte le chiese del mondo).
Ma questo momento permette ai vescovi anche un incontro privato con il Papa e di poter dialogare con i vari dicasteri, che compongono la curia romana e che lavorano a contatto con il Santo Padre per il bene di tutta la Chiesa.
Preparandosi in primo luogo con la preghiera personale e nelle proprie diocesi, nelle settimane precedenti agli incontri, ogni vescovo è stato chiamato (attraverso un formulario composto da 23 capitoli) a trasmettere una relazione al proprio Nunzio Apostolico che, nei vari Paesi, riveste il ruolo diplomatico di “ambasciatore” per conto del Papa.
Nelle varie relazioni coloro che, come “successore degli apostoli” servono le diverse Chiese particolari, sono invitati ad illustrare le tematiche di vita pastorale, sociale, culturale e religiosa del territorio in cui vivono.
La visita ad Limina sarebbe prevista ogni cinque anni ma, complice la pandemia e il gran numero di vescovi che operano in tutto il mondo, le varie conferenze episcopali hanno ripreso ad organizzarla solo negli ultimi mesi.
(F. V.)