Il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria

Domenica 26 novembre – Gesù Cristo Re dell’universo
(Ez 34,11-17; 1Cor 15,20-28; Mt 25,31-46)

La solenne descrizione del giudizio finale è la degna e naturale conclusione del vangelo secondo Matteo, che ci ha presentato un Cristo maestoso, ieratico: il Figlio di Dio ha ricevuto autorità dal Padre, è venuto come l’Emmanuele, il Dio-con-noi, verrà glorioso sulle nubi del cielo.
1. Venite, benedetti. Il cristiano, pur non condividendo le idee del mondo caduto in balìa dei piaceri terreni e della ricchezza, ha l’obbligo di prestare ai fratelli nel mondo il suo servizio, non fosse altro perché deve rendere onore a Dio.
In quel giorno il giudizio non sarà sulla fede, che è sempre altalenante, ma sulla carità, e “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia!”, come esclama Lucia nei Promessi Sposi.
Mi immagino che nel giorno del giudizio vedremo con sorpresa dalla parte dei giusti alcuni che il pensiero perbenista ritiene lontani; altri invece, pur stimati quando erano in vita, si troveranno dalla parte opposta.
2. Ho avuto fame. La storia antica e recente è testimone che la Chiesa ha sempre compiuto le opere di carità fraterna necessarie di volta in volta: alfabetizzazione, cura dei malati, assistenza ai bisognosi, accoglienza dei pellegrini.
L’aiuto materiale continua anche oggi in forme concrete molto visibili, soprattutto con la distribuzione di viveri. Ma non c’è solo la carità alimentare: per un buon esercizio della carità dobbiamo chiederci: Chi sono i poveri oggi? C’è solo una povertà di pane o c’è anche una povertà di fede, di cultura, di spiritualità, di educazione, di fronte alla quale non possiamo rimanere indifferenti?
Le opere di carità non sono solo le strutture né esclusivamente quei servizi che rispondono ai bisogni materiali, ma anche quelle iniziative che aiutano la crescita culturale e spirituale.
Se aiuteremo i cristiani a diventare adulti nella fede ed esperti in umanità, costoro uniranno le energie per migliorare le possibili risposte alle emergenze, sapranno trovare soluzioni per migliorare le risposte ai bisogni religiosi, relazionali e culturali.
3. L’avete fatto a me. La carità qualifica la presenza della Chiesa in un mondo allargato a tutta l’umanità sofferente, e “i fratelli più piccoli” non sono solo i membri della comunità o i missionari cristiani, ma sono anche tutti gli uomini minacciati nella loro esistenza.
Se la carità si riduce all’elemosina, ci fa sentire tranquilli in coscienza e ci libera dal disturbatore di turno, ma se la carità è condivisione di vita e reciproca accettazione in una determinata comunità, allora diventa costitutiva della vita interna della Chiesa e la base della evangelizzazione.
La Chiesa evangelizza proprio con la vita di carità dei discepoli, come dice Gesù: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”.

† Alberto