
Nelle due città del Sud la popolazione si rivolta contro i tedeschi occupanti e contro i fascisti collaboranti prima dell’arrivo degli Alleati

La ribellione di Matera e Napoli scoppia prima dell’arrivo degli Alleati, le due città si organizzano spontaneamente; militari sbandati, prigionieri inglesi e slavi liberati dai campi di concentramento allestiti dall’Italia fascista in guerra insieme al Terzo Reich, detenuti politici (il Tribunale Speciale fascista aveva emesso 4.441 condanne) e gli abitanti di tutti i quartieri si uniscono per cacciare al più presto i tedeschi e far finire la guerra.
Entro il mese di settembre 1943 si calcola che un nocciolo di circa millecinquecento resistenti siano già in azione in Italia. Ad usare le armi contro i tedeschi, che occupavano il Sud prima di posizionarsi sulla linea di Cassino, fu per prima Matera; della città lucana, allora in stato di degrado nei suoi Sassi ora così belli, poco si parla, ma insorge subito, due settimane dopo lo sfascio dell’8 settembre.
Il 21 la rivolta si accende ovunque, il parroco della chiesa di San Giovanni Battista dà il suo incitamento. A sera i tedeschi sconfitti abbandonano Matera però prima bombardano e portano via ostaggi. Il 28 settembre è la prima delle Quattro Giornate di Napoli, la città si libera dallo stato d’assedio proclamato dal colonnello Scholl, che aveva fatto uccidere 14 carabinieri, 9 donne e 26 operai, aveva imposto il lavoro obbligatorio per tutti gli uomini validi dai 18 ai 33 anni.

I tedeschi in città compiono ogni atto di violenza, fanno caccia all’uomo con l’aiuto dei fascisti. La città insorge e combatte con tutte le armi possibili, sassi, vecchie sciabole garibaldine, sorgono barricate. Contro autoblindo e carri armati gli insorti si difendono ritirandosi negli stretti vicoli inaccessibili ai mezzi d’assalto tedeschi.
La città, già logorata dai 120 bombardamenti degli Alleati, conta a fine settembre 300 morti civili, esplode con tutta la sua rabbia, è un’insurrezione popolare, combattono tutti, spontaneamente, di ogni età e condizione sociale, la lotta delle donne è decisiva e impedisce la deportazione degli uomini al lavoro schiavistico in Germania.
Partecipano alla lotta anche gli scugnizzi, i lazzeri, sono una cinquantina e sono un’anima vera della rivolta, tengono postazioni resistenti ai panzer, diventano un mito, la rivista “Life” dà loro valore di simbolo della città che si è liberata da sola e ha costretto i tedeschi a negoziare coi cittadini.
La notte del 30 settembre i tedeschi si arrendono, Scholl ottiene di essere scortato fuori Napoli da un gruppo di partigiani che avevano difeso i ponti. La guerra sarà ancora lunga, gli storici però osservano che le rivolte spontanee di Matera e Napoli, anche se provocate dai soprusi, da violenze e fame,, segnalano che la resistenza armata si stava organizzando come movimento politico e militare in se stesso.
Il comando supremo tedesco in controffensiva emette ordinanze sempre più minacciose, pena di morte e distruzione della casa per chi non rivela ai suoi soldati informazioni o dà asilo e cibo “a una banda o a singoli banditi”, questi i termini con cui sempre chiameranno i partigiani. Le minacce sono ben presto messe in atto.
I tedeschi incendiano l’Università, sparano sulle donne in fila per il pane, un marinaio è ucciso in strada e le persone sono costrette ad assistere all’esecuzione inginocchiate e sotto tiro delle mitragliatrici.
Sono “le lezioni del terrore” che ritroveremo applicate anche nella strage dei cinque uccisi a Ponticello di Filattiera.
Il 23 settembre 1943: una scelta eroica, Salvo D’Acquisto
A Torre in Pietra, piccola frazione di Palidoro presso Roma, erano arrivati pionieri della Wermacht e si erano sistemati nella caserma della Guardia di Finanza abbandonata, uno di loro frugando negli scantinati fa scoppiare una cassetta di bombe a mano e due suoi compagni muoiono. Il comando tedesco crede che sia un attentato e per rappresaglia subito vengono rastrellati a caso 22 abitanti del luogo e portati in un prato per essere fucilati all’istante.
I carabinieri – in questi nostri giorni di anniversario dell’istituzione della loro Arma onorati dal nostro antiretorico presidente della Repubblica per il loro servizio ai cittadini – ricevono l’allarme in caserma, dove fa funzione sostitutiva del comandante il vicebrigadiere Salvo D’Acquisto, un ragazzo napoletano di 23 anni.
Nessuna esitazione lo trattiene e si dichiara responsabile dello scoppio, lui solo, si fa fucilare e salva la vita a 22 ostaggi.
Maria Luisa Simoncelli