
Siamo ormai a quasi un anno e mezzo dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e questi mesi ci hanno sottoposto ad una serie di su e giù degni delle migliori montagne russe, appunto. Dalla guerra lampo prevista all’inizio da Putin, all’avanzata del suo esercito nei primi mesi, alla stoica resistenza (dai più non prevista) degli ucraini, allo stallo dei mesi invernali, ai bombardamenti russi su ogni parte del Paese aggredito, alle rivelazioni sulle atrocità e le ingiustizie commesse nei confronti del popolo ucraino, al rifiuto di entrambe le parti (ma con margini evidenti di torto e ragione) di considerare anche solo l’ipotesi di colloqui che tendano alla pace.
Anche l’azione ostinata portata avanti da papa Francesco – che è riuscito, alla fine, almeno a far accogliere a Kiev e a Mosca il card. Matteo Zuppi – si è scontrata finora contro l’ostinata fiducia riposta dai due leader solo nel confronto armato. Dovevano essere piccoli passi e piccoli passi si sono rivelati, ma che hanno portato l’inviato del Papa ad incontrare personaggi molto vicini a Putin e che hanno avuto come conseguenza un “alto apprezzamento” espresso dalla Russia per la posizione “equilibrata e imparziale” del Vaticano e la disponibilità del Cremlino “a discutere ulteriori proposte” se ne dovessero emergere.
Questa fase “alta” delle montagne di cui si diceva, è, però, subito precipitata verso un “basso” profondo, inimmaginabile per chi abbia anche solo un minimo di buon senso. Ripartendo da una infelice dichiarazione di qualche mese fa – quando ventilò la possibilità del lancio di un missile ipersonico sulla Corte penale internazionale dell’Aja – il vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, Dmitry Medvedev, nei giorni scorsi ha scritto su Telegram che “un’apocalisse nucleare non è solo possibile, ma anche abbastanza probabile”, riversando la responsabilità su Usa e Nato, visto che ” le armi nucleari sono già state utilizzate, il che significa che non ci sono tabù”. Non è difficile immaginare la fine che farebbe un alto esponente di uno Stato democratico che si azzardasse ad usare il nucleare come spauracchio per la soluzione di un conflitto. Da Mosca, per ora, niente. Inutile cercare di minimizzare spiegando che l’interessato cerca di recuperare punti come “falco” agli occhi del capo.
Proprio perché i disastri nucleari ci sono già stati, sia come atto di guerra (un errore del quale gli Usa non si pentiranno mai abbastanza) che nei più o meno gravi incidenti occorsi in diverse centrali nucleari, anche solo ricordare la disponibilità (per non parlare dell’uso) di armi così devastanti nelle conseguenze immediate e per gli anni futuri, pone chi lo fa fuori dalla categoria di essere umano che intende difendere il futuro del nostro pianeta e dell’umanità che lo abita.
Antonio Ricci