Un permesso del 1840 per la caccia al lupo con l’uso di tagliole tra Succisa e Grondola 

Una caccia, quella al lupo, che in genere avveniva con l’utilizzo di tagliole tese nei punti più strategici del territorio frequentato dall’animale. Una volta catturato e impossibilitato a fuggire perché imprigionato tra i denti della trappola, l’animale veniva ucciso a fucilate o a colpi di bastone.
La caccia, tuttavia, non era libera, bensì disciplinata da appositi permessi, come testimonia quello conservato a Grondola nell’archivio familiare della succisana Andreina Micheli. Il documento, scritto a mano nella tipica grafia ottocentesca, venne rilasciato ad un suo avo il 9 marzo 1840 dal regio commissario di Pontremoli, Epifanio Manetti.
A lui si era rivolto infatti Pietro Maria Micheli, cacciatore di lupi: se voleva tendere le proprie tagliole, catturare e uccidere i predatori senza essere accusato di bracconaggio doveva dotarsi di quel permesso che gli venne rilasciato per soli due mesi e “per l’unico oggetto della caccia di qualche lupo nelle montagne di Soccisa e di Grondola”.
Il documento precisa anche che, affinché non rappresentino un pericolo, le tagliole devono essere tese “in luoghi che non servano di strada o viottolo anche privato per l’uso degli uomini o animali” e solo nelle ore “dal tramonto al levare del sole di ciaschedun giorno” pena multe salate. Inoltre il Micheli avrebbe dovuto rifondere “qualunque danno potesse avvenire altrui dall’uso illegittimamente fatto delle tagliuole medesime”.

Favole e racconti popolari: il lupo ingordo e credulone, la volpe attenta e furba

Non ne esce proprio nel migliore dei modi la figura del lupo nelle favole, perché un conto è il lupo mannaro che alla voracità dell’animale affianca l’intelligenza dell’uomo, un altro è il lupo selvaggio che si nasconde nei boschi pronto ad aggredire la Cappuccetto Rosso di turno, finendo poi piuttosto male. Un modo per esorcizzare la paura nei confronti di uno dei predatori più temuti.
Il lupo apre la raccolta “Storie e filastrocche di Lunigiana”, curata da Caterina Rapetti (Muzzio editore, 1985). “Un lupo e una volpe si incontrarono affamati nel bosco” inizia la favola raccolta a Cervara, ma che si raccontava ambientata in tanti paesi dell’Appennino. I due animali, alleati per la necessità di rimediare alla fame comune decisero “di andare a bere il latte in un cascinale vicino, di proprietà di Gavotella, una contadina della zona”. Entrare per una stretta finestrella del cascinale fu facile, così come bere a più non posso il latte custodito in un recipiente.
Ma mentre la volpe ogni tanto andava a controllare se riusciva ancora a passare per la piccola finestra, il lupo non se ne curava, così all’arrivo della contadina mente la volpe fuggì agevolmente, il lupo rimase intrappolato nel locale e Gavotella “lo bastonò di santa ragione”. La volpe e il lupo si ritrovarono poco dopo nel bosco. “Ho tutte le ossa rotte” spiegò il lupo alla volte la quale di rimando disse “A chi lo dici! Io ho la febbre e sono vicina a morire. Prendimi in spalla che andiamo a bere al lago Verde!”. I
l lupo, credulone, si caricò della volpe e tutto dolorante si mise in cammino mentre la volpe canticchiava “Ari, ari per il piano il malato porta il sano…”. Giunti al lago decisero che mentre uno beveva, l’altra lo avebbe tenuto per la coda per evitare di cadere in acqua. Il lupo tenne fede all’accordo, ma quando venne il suo turno sentì la volpe cantare più volte la frase “Lip e lap, per la cuga at lass” lasciando infine la coda del lupo che cadde nell’acqua!

(p. biss.)