Il Canto del Maggio  a Montereggio,  Corlaga e Rossano

Si è tenuta sabato 27 maggio a Villafranca la tavola rotonda sull’importante tradizione folcloristica delle nostre valli

Il gruppo del Maggio di Rossano si è esibito al convegno di Villafranca

Del Canto del Maggio un po’ tutti abbiamo avuto esperienza o per averne sentito parlare o per aver avuto la fortuna di poter assistere in modo diretto ad una sua rappresentazione. Una bella occasione per approfondire la conoscenza di questo interessante fenomeno folcloristico è stata offerta, domenica scorsa, a Villafranca, nel Salone voltato del Museo etnografico, dall’Associazione “Manfredo Giuliani”, con una tavola rotonda coordinata dal presidente, Giuseppe Benelli. Le principali forme di questa rappresentazione sono il Maggio drammatico e il maggio lirico, di questua, con la variante del Maggio per le anime purganti.
Fabio Baroni ha spiegato la prima forma, ispirata ai grandi poemi e alle saghe epiche: dal ciclo di Re Artù al ciclo Carolingio, ad opere come la Gerusalemme liberata. Gli interpreti si dispongono in circolo ed i loro canti sono accompagnati dalla chitarra, dal violino o dalla fisarmonica. Una forma, quindi, di teatro popolare, orientato per lo più al trionfo del bene. Come per il Maggio in generale, questo tipo di Canto ha trovato terreno fertile nei territori delle tre regioni confinanti: Emilia–Romagna, Liguria e Toscana, grazie alla facilità dei rapporti tra i diversi versanti dell’Appennino. Zona di passaggio per eccellenza, la Lunigiana ha avuto nei Malaspina i sostenitori degli artisti che, poi, hanno diffuso la fama della casata negli altri stati.

Il Canto del Maggio a Montereggio

Paolo Lapi ha dato conto del “divieto di cantar Maggio nella Lunigiana dell’800”, anche se ha subito chiarito che, in realtà, si dovrebbe parlare più di “limitazioni”. In un documento del 1712 (e in un altro del 1843) vengono riportati gli arresti di pontremolesi che si erano recati nella Valdantena (a Casalina e a Pracchiola), invitati per Cantar Maggio. Il regio commissario propone di imporre una licenza che permetta di verificare le intenzioni dei vari gruppi. Propone anche di limitare le date ai soli giorni del mese di maggio; che non siano portati distintivi; che il Maggio non sia cantato di notte; che non si riuniscano più comitive e “i cori non escano dai loro territori!”.
I rappresentanti delle Compagnie dei maggianti di Montereggio, Corlaga e Rossano hanno spiegato le differenze tra le tradizioni. Gianni Tarantola, capo di Montereggio, è entrato nel gruppo negli Anni ’70. Quello di Montereggio è detto “lirico”, diverso, quindi da quello “per le anime purganti” cantato a Rossano. Detto anche “augurale”, qui lo scopo è solo quello di portare il messaggio della primavera con il canto. Viene eseguito sulla strada, in attesa dell’invito ad entrare per bere e mangiare quello che la padrona di casa ha preparato. Dopo un periodo di incertezza, è ripreso nel dopoguerra, sotto la guida di Roberto Maucci, e, nel 2003, ha contribuito a dare origine alla Rassegna interregionale del Cantamaggio, che riunisce i gruppi di maggianti attivi sui diversi territori.

Il gruppo bagnonese del Maggio di Corlaga

Particolare il Maggio di Corlaga, illustrato da Luca Olivieri. Qui è un solista a cantare le strofe di quartine in rima (adattate alle persone visitate). La compagnia si recava nelle diverse frazioni, a partire dalla sera del 30 aprile e andando avanti tutta la notte. Un programma molto impegnativo anche fisicamente. Sul “Maggio per le anime purganti” è intervenuto Riccardo Boggi, per ricordarne il legame con il Purgatorio, dove le anime “scontano” per i peccati commessi. Lo si ritrova nelle valli di Zeri e anche in alcune frazioni dell’alto appennino ligure. Essendo anche un Maggio di questua, gli alimenti ricevuti durante il percorso venivano posti all’incanto e il denaro utilizzato per messe di suffragio dei defunti.
Per il “canto del Maggio nella vallata di Rossano”, Andrea Varesi Liserio ha spiegato che la tradizione è stata ripresa solo negli Anni ’70 e ’80; merito anche del parroco di allora, don Adriano Filippi, che era riuscito ad attirare l’interesse di un bel numero di giovani. Il testo è molto articolato e si basa sullo scambio di battute tra il capogruppo e la padrona di casa sulla concessione o meno di lasciar cantare il Maggio davanti a casa ed esaudire le richieste. Al termine della conferenza, una rappresentanza della compagnia di Rossano ha proposto il canto. Anche queste, come tante belle tradizioni, è stato detto, risentono dell’invecchiamento degli interpreti e della difficoltà di attirare giovani che possano garantirne la prosecuzione.

Antonio Ricci