La situazione emerge da un manoscritto inedito di Giuseppe Damiani del 1584.
Damiani dice sterile il paese, dove per la maggior parte dell’anno si vive “di pan di castagne”. La città ha edifici antichi poco belli, dove si vive una “vita agitata e inquieta di fazioni, di sollevamenti, di inimicizie cittadine, funestate di aggressioni e di omicidi”
Nicola Michelotti aveva trovato un manoscritto di Giuseppe Damiani, datato 1584; non poté trascriverlo per motivi di salute e affidò l’incarico a Paolo Lapi. Ora è pubblicato e possiamo conoscere uno spaccato di vita dentro e fuori Pontremoli.
Il Damiani, massaro generale del Comune, avverte che scrive per far luce sulla verità, non “per dire male” né per “odio o malignità”.
Pontremoli, dopo il dominio dei Fieschi genovesi, nel 1547 era tornata al ducato di Milano sotto sovranità spagnola.
Il Comune aveva mantenuto una certa autonomia ma era sottoposto all’invio di “cattivi” funzionari spagnoli o milanesi che non rispettavano i patti, gravavano di nuovi oneri per mantenere truppe locali o di passaggio.
Un po’ in latino grossolano, un po’ in italiano dialettale Damiani dice sterile il paese, dove per la maggior parte dell’anno si vive “di pan di castagne”; deve importare beni alimentari. La città è molto lunga con edifici antichi poco belli, dove si vive una “vita agitata e inquieta di fazioni, di sollevamenti, di inimicizie cittadine, continuamente funestate di vendette, di aggressioni e di omicidi”.
Da Milano veniva inviato il “bargello” con conseguente aumento di spese da parte dei pontremolesi: venne nel 1561, rimessa pace, se ne andò ma nel 1563 di nuovo fu ripristinato perché ci furono nuovi delitti. Il manoscritto contiene anche il testo di lettere al governatore dello stato di Milano per la rimozione del bargello accompagnato da sei fanti, oppure si vorrebbe che le spese le sostenessero i delinquenti.
Pontremoli in decrescita demografica, non più “chiave e porta”, viveva di un’agricoltura stentata, pochi i commerci, i figli dei benestanti diventavano notai o dottori moderni, di cui il Damiani riporta i nomi e brevi notizie: elenca 23 famiglie aristocratiche tra cui la sua.
Fregio con stemma in Palazzo Damiani a Pontremoli (Foto Lunigiana World)
Nel 1572 fu riformato il Consiglio interno (oppidano), in cui entrò anche Giuseppe Damiani: il delegato venuto da Milano tolse uomini potenti e inserì “plebe e gente ignobile”, giovani inesperti: cosa che si ritiene abbia portato danno e disonore. Due erano i Consigli: oppidano e rurale e facevano parte del Consiglio generale.
Frequenti gli scontri tra fazioni. Per far finire discordie, risse e omicidi il re di Spagna Filippo II mandò come suo delegato Cristoforo Magno avvocato milanese, scelse 80 persone metà dovevano governare un anno e l’altra metà l’anno successivo. Con orgoglio di appartenenza alle vecchie famiglie il Damiani lamenta l’ingresso nel Consiglio di famiglie arricchite con industria e commercio e con l’usura, “gente piena di boria e di quattrini, tronfia di recenti titoli di nobiltà”.
L’usura i cristiani non potevano praticarla perché è uno dei vizi capitali, ma a Pontremoli periferia sud dello Stato milanese era tollerata perché i sovrani avevano bisogno del prestito.
Dal manoscritto vengono informazioni anche sul prezzo delle merci, dalle carni al vino, ognuno faceva come voleva; si legge anche che i contadini erano molto crudeli verso gli abitanti del borgo ai quali vorrebbero “cavar il cuore”. Per il 1584 Damiani denuncia la “poca giustizia” dovuta ai “mali ministri passati e presenti” a proposito di una lite di confini col ducato di Parma e Piacenza. Il 6 maggio il governatore militare, il capitano spagnolo, il pretore e i cancellieri notai Giulio Belmesseri e Francesco Villani arrivarono a Valdena giurisdizione di Borgo Taro, i cui abitanti avevano rimosso i confini che scendevano cinquanta braccia sotto il crinale a vantaggio della giurisdizione pontremolese in alta valle del Verde con le “ville” di Baselica di Guinadi, Monti, Navola, S. Lorenzo. Fu dato fuoco alle case, “tre rurali dei nostri” rimasti indietro per depredare, furono uccisi da quelli di Valdena.
La controversia si intrigò a lungo fino ad impegnare Ottavio Farnese duca di Parma e il governatore di Milano delegato per il re di Spagna: l’accordo fu salomonico: stabilì i confini a metà del territorio conteso. Ci fu contrasto con Milano quando chiese l’invio dei libri contabili e impose multe; rapporti sempre tesi tra gli ufficiali milanesi e la nostra “terra separata” sono messi in evidenza anche nella rassegna dei governatori e podestà dal 1550 e dei dottori, insieme a inventari e opere pubbliche realizzate.
La famiglia e il palazzo Damiani
I Damiani venivano da Varese Ligure e sono presenti a Pontremoli nella seconda metà del Quattrocento, in S. Francesco è murato il loro marmo sepolcrale, per primo è ricordato Lorenzo morto il 5 dicembre 1425. Entrano nell’intrigo delle lotte di fazione, nel 1504 un Damiani viene aggredito perché schierato coi Reghini contro i Maraffi.
Uno dei saloni affrescati in Palazzo Damiani a Pontremoli (foto Lunigiana World)
Di nuovo nel 1520 un uomo appostato nella casa Damiani uccide con l’archibugio Ludovico Maraffi. Si riaccende l’odio e la contessa Fieschi, che governa anche Pontremoli in nome del figlio Gian Luigi minorenne, convoca a Genova le parti, Gian Lazzaro Damiani è presente per i Reghini, ma non si spezza la spirale delle vendette. Nel 1654 Pontremoli, da poco acquistata dai Medici che aboliscono esenzioni fiscali, sfoga i suoi rancori sul fiscale Cosimo Damiani. Chiuso nel palazzo del podestà riuscì a riparare nella chiesa del Carmine, ma il popolo infuriato lo tirò fuori, mandato in giudizio a Firenze, fu messo in carcere, infine tornò libero per diritto d’asilo rivendicato dalla Curia romana.
Bernardo Damiani è nome inciso in un’epigrafe come uno dei fabbriceri della Confraternita che ristrutturò l’oratorio di Nostra Donna nel 1732. Il palazzo è mal ridotto ma ancora intero in via Malaspina. Ricostruito, fu ornato dai dipinti di Antonio e del figlio Nicolò Contestabili che nel 1795 lo decorò sul soffitto e quattro pareti con la deliziosa favola di Niobe in forme del rococò di gusto francese col ritorno alle figure e al paesaggio dopo le quadraturare del barocco a Pontremoli; così è anche nella stanza dell’Aurora e in alcuni medaglioni e nell’affresco delle Due Muse (M.L.S.)