Erdogan ottiene il terzo mandato. Sanchez va al voto anticipato

La Turchia conferma il regime autoritario: lo sfidante, il laico di centro-sinistra Kamal Kilicdaroglu, si ferma al 48%. In Spagna il Psoe va a picco e il premier a sorpresa chiude la legislatura

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan saluta i sostenitori dopo il secondo turno delle elezioni presidenziali (Foto ANSA/SIR)

Dopo mesi di aspri confronti tra Recep Tayyip Erdogan e i suoi oppositori, che hanno concentrato le loro forze e le loro speranze sullo sfidante, il laico di centro-sinistra Kamal Kilicdaroglu; dopo le pesanti accuse lanciate da quest’ultimo sulle ingerenze attuate dal leader uscente nei confronti della campagna elettorale e, quindi, sul risultato della competizione, le schede votate dai cittadini turchi domenica scorsa hanno dato il loro responso: oltre alla vittoria alle elezioni parlamentari, dove ha conquistato 322 seggi su 600, Erdogan, con il 52% dei voti, si è aggiudicato anche il ballottaggio delle Presidenziali, ottenendo, così, il terzo mandato alla guida della Turchia.
Allo sfidante resta la soddisfazione di averlo costretto al ballottaggio, ma il 48% di voti ottenuto ha sancito una sconfitta che molti davano per scontata.
Resta, quindi, invariata la fotografia di un Paese spaccato in due da molti anni, con una democrazia bloccata che, pur scegliendo la sua guida con il sistema democratico del voto e facendo registrare alte percentuali di affluenza (sempre oltre l’85%), continua a dare l’idea di essere un regime autoritario.

A sinistra lo sfidante, il socialdemocratico Kemal Kiliçdaroglu. A destra il presidente uscente Recep Tayyip Erdoğan

“Erdogan – dichiara l’ex ambasciatore Marsili ad Agenzia Sir, – ha puntato sui successi in politica estera “ottenuti perseguendo in modo tenace gli interessi nazionali in Libia, nei Paesi arabi, in Asia e in Africa, continente nel quale il presidente turco è particolarmente apprezzato”.
Più difficile il confronto con l’Ue, a causa delle diverse posizioni su Cipro. Gli ha giovato anche l’aver tenuto testa agli Usa, ponendo il veto all’ingresso della Svezia nella Nato. Dall’altra parte, Kilicdaroglu ha cercato di recuperare parte del voto nazionalista, che gli serviva per vincere, ma così facendo ha perso il pieno sostegno dei Curdi.
Resta comunque difficile da mettere in discussione quanto viene addebitato a Erdogan in fatto di politica interna: l’instaurazione di un potere autoritario con il quale, nel corso di questi ultimi vent’anni, oltre ad aver preso il controllo del governo, ha imposto anche quello sulla magistratura, l’informazione e molti settori economici.

Domenica di elezioni anche in Spagna, dove il Partito socialista (Psoe) del premier Pedro Sanchez, ha perso praticamente tutte le amministrazioni che contano, a partire dalla Comunità Valenciana, riuscendo ad ottenere un risultato positivo solo nella Castilla-La Mancha, con Emiliano Garcia-Page che ha conservato la maggioranza assoluta.
La sconfitta è stata netta (ben oltre i sondaggi che davano ravvicinati i blocchi di destra e di sinistra) e, per Sanchez, anche inaspettata, se si pensa che in queste elezioni amministrative il premier contava addirittura di poter superare la vittoria ottenuta nel 2019.

Il premier spagnolo Pedro Sánchez (foto pagina facebook Pedro Sánchez Pérez-Castejón )

Il Partito popolare (Pp) ha di fatto surclassato il Psoe, strappandogli sei dei nove governi regionali che guidava e 15 dei 22 capoluoghi di provincia. I numeri dei risultati dicono anche, però, che il Partito popolare dovrà fare una scelta non facile perché, in alcune delle regioni conquistate, potrà governare solo trattando con Vox (la formazione di estrema destra, uscita anch’essa vincitrice), per ottenerne il sostegno.
Un problema non proprio facile da risolvere per il suo leader Núñez Feijoo, che, comunque, per il momento festeggia, affermando che “abbiamo ottenuto una chiara vittoria e la Spagna ha mosso i primi passi verso una nuova era politica”. Non si è fatta attendere la reazione di Sanchez al responso delle urne.
Suscitando sorpresa per la velocità della decisione (di certo contemplata da tempo tra le opzioni possibili in base ai risultati), il premier spagnolo, in un intervento in televisione, ha rivelato di aver comunicato al re Filippo VI, la sua decisione di “sciogliere il Parlamento e procedere alla convocazione di elezioni generali per domenica 23 luglio”.
Comunque vada, sarà dunque un’estate molto calda per la Spagna, con una campagna elettorale senza esclusione di colpi e con Vox che, oltre all’inserimento nelle maggioranze dei governi regionali, aspira a diventare partner indispensabile per il Pp anche a livello di governo nazionale.

Antonio Ricci