La Giornata mondiale dell’ambiente dedicata alla riduzione dell’inquinamento da plastica
Continuano le iniziative a favore dell’ambiente, nel disperato tentativo di ridurre le emissioni nocive e le produzioni di rifiuti che vanno ad inquinare terra e mare.
Eppure, la sensazione che ne deriva, è che di questi temi, ormai di portata vitale per tutto il pianeta, si parli proprio solo in certi momenti e che, poi, ognuno torni a fare quello che ha sempre fatto in materia: poco o niente. Comunque non abbastanza.
Il fatto riguarda anche le varie “giornate” dedicate a questi temi. La “giornata mondiale dell’Ambiente, istituita dalle Nazioni Unite nel 1973, celebrata con discorsi ed attività concrete lo scorso lunedì 5 giugno, rientra tra queste. Il tema stabilito per quest’anno era: sconfiggere l’inquinamento da plastica.
Chiaro il messaggio diffuso dal segretario generale Onu, Antonio Guterres: “Occorre lavorare insieme – governi, compagnie, e consumatori – per rompere la nostra dipendenza dalla plastica, azzerare gli sprechi e costruire un’economia che sia davvero circolare. Insieme, definiamo un futuro più pulito, sano e sostenibile per tutti”.
I dati sono a dir poco inquietanti. Ogni anno, si producono nel mondo circa 430 milioni di tonnellate di plastica, un terzo delle quali utilizzate soltanto una volta. Se non si agisce presto, la produzione annua potrebbe triplicare entro il 2060.
Meno del 10% viene riciclato, mentre attorno ai 20 milioni di tonnellate viene scaricato in oceani, fiumi, laghi. Se da un lato la plastica porta benefici all’umanità, dall’altro, il suo impatto su ogni essere vivente e habitat è sempre più devastante.
Si dirà: ma oceani e mari sono immensi. Le microplastiche, però, vengono assorbite dai pesci e dagli animali in generale e si fanno presenti nel cibo che mangiamo, nell’acqua che beviamo, e nell’aria che respiriamo.
Ogni persona sembra consumi più di 50.000 particelle di plastica all’anno (molte di più se si considera l’inalazione) e i danni per specie e salute umana sono (quasi) irreversibili. Qualcosa si è fatto e si sta facendo, ma una vera e propria azione congiunta a livello internazionale è ancora di là da venire.
Eppure l’inquinamento da plastica potrebbe essere ridotto dell’80% entro il 2040 se i Paesi e le aziende attuassero certi cambiamenti politici e di mercato. Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) propone la soluzione definita 3R: riuso, riciclo e riorientamento della produzione.
Il problema è che c’è una netta divisione tra i Paesi sviluppati, che a lungo hanno prodotto gran parte dell’inquinamento di cui oggi stiamo pagando le conseguenze, e i Paesi che da poco tempo hanno dato il via ad un’economia di tipo industriale. Cina e India, per fare gli esempi più rilevanti, al momento non hanno nessuna intenzione di sottomettersi a limitazioni legate all’inquinamento, avendo a disposizione combustibili fossili a buon mercato e dovendo sostenere lo sviluppo economico avviato. A dirla tutta, non è che si possano deplorare più di tanto.
Tornando alla plastica, essendo prodotta da combustibili fossili, è responsabile di circa il 3,7% delle emissioni globali di gas serra e si prevede che, senza interventi mirati, questa percentuale possa aumentare fino al 4,5% entro il 2060.
A fronte di questo, Unep sostiene che è possibile ridurre l’inquinamento da plastica dell’80% entro il 2040, a condizione di agire adesso, mettendo in pratica le 3R di cui sopra. Il passaggio a un’economia circolare comporterebbe un risparmio diretto e indiretto intorno a 4.500 miliardi di dollari e un aumento netto di 700.000 posti di lavoro entro il 2040. I costi per i cambiamenti raccomandati sono significativi ma inferiori a quanto si spenderebbe in assenza di una modifica sistemica: 65 miliardi di dollari all’anno rispetto a 113 miliardi di dollari all’anno.
Questi dati, uniti ad incentivi adeguati, potrebbero far cambiare idea agli Stati più recalcitranti. Né, d’altra parte, si può pensare che possano bastare le pur lodevoli iniziative, messe in atto anche quest’anno da tante associazioni di settore, di pulizia delle spiagge e dei fondali marini.
Comunque la si voglia mettere, così come l’inquinamento, anche il conseguente cambiamento climatico sta ormai superando il livello di guardia: in due giorni, sono cadute su diverse zone dell’Italia ben 15 ‘bombe d’acqua’ e gli esperti dicono che l’alternanza tra siccità e alluvioni sarà la prospettiva dei prossimi anni.
Il clima tropicale, che fino ad oggi ha provocato devastazioni solo in determinate aree geografiche, potrebbe perciò estendersi anche a zone temperate come la nostra: le conseguenze sono facilmente immaginabili.
Se ‘gli altri’ ci dovessero accusare di fare tanto strepito solo perché questi disastri ci toccano direttamente, come si potrebbe dar loro torto?
Antonio Ricci