Rodolfo, l’uomo che voleva essere una minoranza

Nel variegato, incostante, disatteso quando non ignorato panorama della letteratura italiana contemporanea risulta, quasi suo malgrado, la presenza di un gruppo di autori che con ammirevole costanza cerca di contrastare l’andazzo della prevalenza in libreria dei soliti nani e ballerine che travalicano ogni possibile sopportazione. La critica militante e non del resto segna il passo con impeccabile disattenzione rispetto ai tempi in cui ci si affidava alla puntualità dei Geno Pampaloni, Luigi Baldacci, Giuliano Gramigna e altri, affidando scarse note per lo più alla dannazione del web in un marasma totalizzante in cui gli incolpevoli Nicola Lecca, Domenico Dara, Viola Di Grado, Cosimo Argentina e chissà quanti altri faticano quanto meno ad essere visti se non apprezzati.
Tra questi credo si possa considerare Diego Marani, nato a Ferrara nel 1959, direttore dell’Istituto italiano di cultura di Parigi, a lungo funzionario dell’UE, dove si è occupato di lingue e diplomazia culturale inventandosi la lingua-gioco “Europanto”. Parallelamente alla carriera professionale ha seguito i suoi interessi letterari con un cospicuo numero di opere di narrativa, e non solo, che per me costituiscono particolare punto di incontro. Se “Nuova grammatica finlandese”, “L’ultimo dei vostiachi” e “Vita di Nullo” possono costituire un sufficiente banco di prova, ora si può aggiungere questo “L’uomo che voleva essere una minoranza” (Edizione La nave di Teseo, pagg.115, euro 15).
In un paesino della bassa ferrarese, ai nostri giorni, Rodolfo, barbiere dall’età di quattordici anni, vive la routine della vita e del lavoro con disattenta partecipazione quando riflettendo a lungo si accorge di appartenere a quella maggioranza totalizzante che sembra vivere all’esterno di una propria volontà. Decide di affrancarsi da quella condizione per poter vantare una situazione di minoranza finalmente consapevole. Gli sembra il caso di quella linguistica ed informatosi a dovere cerca nell’Esperanto la soluzione. Per trovare contatti le tenta tutte, finché attraverso il web trova possibili interlocutori per accorgersi che però nella realtà del suo paese non vi possono essere riscontri adeguati.
Avvilito ma non domo prova con le minoranze religiose e con qualche fatica attraverso studi ed approfondimenti cerca la conferma presso la comunità ebraica di Ferrara che lo caccerà in malo modo. Anche l’invalidità fisica realizzata con qualche inevitabile fatica non risulta efficace. L’ultimo disperato tentativo è un percorso verso omosessualità. Con qualche sorpresa che non va svelata, la vicenda si può concludere. All’interno di un discorso piano ed efficace, nella modestia culturale di protagonisti e comprimari si verifica una storia di formazione che, se trova nelle note di un sorridente surrealismo la capacità di divertire con intelligenza, non manca di affrontare con piglio sicuro il tema della ricerca di identità per un mondo che sempre più sembra non voler tener conto delle necessarie diversità.
In filigrana inquietante il futuro che forse ci aspetta. La favola divertita di Marani non trascura la capacità affabulatoria sollecitando nel contempo in lampi improvvisi le nostre sinapsi addormentate e languenti verso ben precise prese di coscienza.

Ariodante Roberto Petacco