
Cinquant’anni fa la morte del filosofo cattolico francese amico di Paolo VI, propugnatore di un cristianesimo protagonista della costruzione di in un mondo pluralista e laico

La realizzazione di una nuova cristianità che trovasse la sua collocazione nel mondo complesso e tragico XX secolo e per la quale i cristiani erano sollecitati ad impegnarsi: è questo l’ideale che ha reso Jaques Maritain, di cui il 28 aprile ricorrono i 50 anni della morte, il filosofo cattolico più celebre del Novecento.
Nato a Parigi nel 1882 da una famiglia protestante, l’incontro alla Sorbona con Charles Peguy ed altri pensatori cristiani determinò nel 1905 la sua conversione al cattolicesimo. Fu da quel momento che intraprese l’attività di studio ispirata al cristianesimo che proseguì per tutta la sua vita.
Negli anni Venti si cimentò con l’attivismo politico, avvicinandosi a Action française, da cui si allontanò nel 1926, quando il Vaticano condannò il movimento della destra cattolica d’Oltralpe. Da allora Maritain si avviò ad una lunga elaborazione spirituale e filosofica di impronta tomista – fondata cioè sul dialogo tra ragione e fede – tesa a sviluppare il modello di una società cristiana alternativo ai totalitarismi comunista e fascista e al liberalismo ottocentesco. Il percorso intrapreso sfociò nel 1936 nella pubblicazione di Umanesimo integrale, la sua opera principale. Maritain asseriva che se la fede tende a riportare sotto di sé tutta la realtà, i cristiani avrebbero dovuto esprimere i principi in cui credevano anche nel vivere sociale.
L’agire cristiano non poteva avere però come obiettivo il ripristino di una forma medievale di civiltà cristiano-sacrale. L’avvento, in età moderna, dell’umanesimo antropocentrico indicava l’orizzonte di una cristianità “profana” che assumesse come valori la democrazia, il pluralismo, la giustizia sociale. La conseguenza ultima era una società laica e pluralista nella quale i cristiani avrebbero vissuto da protagonisti, senza istituzionalizzare le loro convinzioni religiose nelle strutture politiche, collaborando per il bene comune con tutti gli altri membri della società, raccordando sul piano pratico l’oggettività della Verità con la libertà della coscienza. L’opera, che faceva propri il personalismo del filosofo francese Emmanuel Mounier e la teologia dello svizzero Charles Journet, futuro cardinale e amico di un’intera vita di Maritain, diventò un caso culturale e teologico. In Italia Maritain attirò le attenzioni del giovane prete Giovanni Battista Montini, da tempo impegnato a riflettere su come realizzare l’unità del genere umano senza tuttavia mettere in discussione il Regno di Dio.
Per aggirare la censura fascista Montini tradusse personalmente i testi di Maritain diffondendo i dattiloscritti nei circoli universitari della Fuci, di cui era assistente ecclesiastico, e del Movimento Laureati. Il filosofo francese divenne oggetto di studio per quella generazione di intellettuali cattolici che nel dopoguerra fecero parte della classe dirigente politica e culturale italiana. Elaborazioni maritainiane come la centralità della persona, la sussidiarietà, la laicità, l’economia sociale, entreranno a far parte per loro merito della nuova Costituzione.
Ma le tesi di Maritain suscitarono anche una dura e crescente reazione dei nostalgici dello “Stato cattolico”. Nel 1953 padre Messineo sulla Civiltà Cattolica accusò l’opera L’uomo e lo Stato di naturalismo, cioè di escludere l’azione del soprannaturale nella coscienza umana, e di uno storicismo in odor di marxismo.
La messa all’indice del Sant’Uffizio non scattò perché Montini, nel frattempo divenuto Sostituto alla Segreteria di Stato, prese le difese del pensatore che tra il 1945 e il 1948 fu ambasciatore francese presso la Santa Sede e che sviluppò con il futuro Paolo VI una stretta amicizia intellettuale e umana. Il successo del pensiero di Maritain fu certificato in molti paesi, Italia compresa, da fortunate esperienze di partiti cristiani e dalla sua influenza sulla direzione intrapresa dal cattolicesimo, pari a quella dei grandi teologi del Concilio Vaticano II, nel contesto del quale le sue tesi ispirarono la costituzione Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo e la dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa.
L’idea di una società pluralista e laica nella quale le persone e i popoli possano vivere in libertà e pace, senza rinunciare alla loro identità spirituale e culturale, nel XXI secolo è stata messa a dura prova dai conflitti di religione e dal dilagare dell’approccio tecnocratico ai temi politici. Frange conservatrici del mondo cattolico sostennero che l’ormai anziano Maritain, con Il contadino della Garonna disconobbe le tesi di Umanesimo integrale, cosa che egli smentì categoricamente.
Il saluto che Paolo VI gli rivolse sul sagrato di San Pietro, consegnandogli l’8 dicembre 1965, a conclusione del Concilio, il messaggio agli uomini di pensiero e di scienza coronarono la sua vita di pensatore cristiano. Al vecchio Maritain, il suo amico e giovane traduttore nel frattempo divenuto Papa disse: “la Chiesa vi è riconoscente per il lavoro di tutta la vostra vita”.
(Davide Tondani)