Le Vie del Sale, dal mare al nord attraverso l’Appennino

Dal mare alle pianure d’oltre Appennino: erano molte le Vie del Sale che permettevano l’incontro tra l’offerta di “oro bianco” e una crescente domanda. Per secoli e secoli, infatti, per la conservazione dei cibi si è fatto largo uso di sale, e per comprenderlo almeno in parte basta pensare quanto, ancora oggi, questo prezioso ingrediente sia impiegato ad esempio nella trasformazione delle carni ad iniziare da quelle del maiale.
Dalla Toscana e dalla Liguria verso la pianura padana, numerosi percorsi garantivano l’approvvigionamento del sale. Nell’area di Volterra la località “Saline” è nata là dove sorgenti di acqua salata erano conosciute già agli Etruschi e sfruttate in modo sistematico dai Romani. Depositi di salgemma così importanti e con mano d’opera così abile nella trasformazione da essere presi a modello da numerose realtà europee.
Per il trasporto del sale dal territorio volterrano al resto della Toscana era utilizzata quella “Via del Sale” che dal XV secolo divenne uno degli assi commerciali più importanti dell’epoca, capace di rifornire tutte le aree interne e, in particolare, la città di Firenze.
Prima del trasporto il sale “riposava” per quattro mesi nei magazzini (erano 21 nel Seicento), ma il processo era realizzato a livello artigianale, con ripercussioni sulle quantità prodotte e sui tempi di consegna.
Si dovette attendere la riforma del granduca Pietro Leopoldo II che alla fine del Settecento avviò la trasformazione a livello industriale del complesso con la realizzazione di nuovi pozzi e l’installazione di nuove caldaie. Fu allora che nacque il villaggio di Saline di Volterra, trasformatosi poi nella moderna realtà ancora oggi attiva e dove si producono decine di migliaia di tonnellate di sale purissimo.
E dal mare? Il sale marino arrivava ai porti toscani e liguri dai siti di produzione del bacino centro meridionale del Mediterraneo, dalla Sardegna alla Sicilia.
Sbarcato nei porti liguri, iniziava il percorso lungo le strette valli che si incuneano nell’Appennino, saliva ai passi per poi scendere fino a raggiungere le pianure piemontesi, lombarde e dell’Emilia occidentale. Sono tante, ancora oggi, le “vie del sale”, percorsi recuperati a fini escursionistici ma un tempo collegamenti vitali per le economie dei territori dell’Italia continentale che comunque venivano riforniti anche dal sale prodotto in Adriatico, ad esempio nelle saline di Cervia. La Lunigiana, territorio di confine, lembo di Toscana incuneato fra Liguria ed Emilia, non poteva non essere coinvolta dal commercio del sale, diretto soprattutto verso Parma, Reggio e Modena. Alle straordinarie caratteristiche geografiche che ne fanno un corridoio naturale, si affiancano quelle di un’orografia particolarmente vantaggiosa, con passi presenti in buon numero e a quote non troppo elevate.
E visto che la domanda di sale è sempre stata molto elevata, al commercio “ufficiale”, sottoposto al pagamento di gabelle e tasse, si affiancava quello di contrabbando. Le vie dei contrabbandieri, nello zerasco (lungo la “via del sale’ che dalla marina di Luni percorreva tutto il crinale fra le valli dei torrenti Magra e Vara) come nel fivizzanese, erano battute da vere e proprie bande e carovane che per secoli hanno provveduto a rifornire un mercato parallelo, sale compreso, nonostante l’impegno delle guardie organizzate nei diversi distaccamenti esistenti nel territorio.
Ancora all’inizio dell’Ottocento i rapporti dell’Intendenza di Finanza emiliana evidenziavano la presenza dei contrabbandieri e la quantità di merci contrabbandate attraverso il passo del Cerreto.
Parlando del trasporto del sale si deve, infine, ricordare quando accaduto negli ultimi, lunghi, mesi della seconda guerra mondiale. Con il razionamento e la scarsità di generi alimentari, erano soprattutto gli abitanti delle aree urbane a lamentare una situazione spesso insostenibile, arrivando spesso a soffrire la fame vera e propria.
Era iniziato, allora, il pendolarismo verso quelle aree dove si poteva ancora trovare una certa quantità di cibo. Sono note le vicende, a volte con un epilogo drammatico, delle donne delle città apuane che percorrevano, a piedi, da sole o in piccoli gruppi, le strade tra la costa e le valle emiliane alla ricerca di generi alimentari, farina in modo particolare. In cambio capi di vestiario, spesso del corredo da sposa, o piccoli oggetti preziosi; ma anche sale, quello che loro stesse producevano clandestinamente sulla spiaggia facendo bollire grandi quantità d’acqua di mare.

Paolo Bissoli