Il “mestiere” di papa è veramente duro, soprattutto in tempi come quelli che stiamo vivendo, dominati da mezzi di informazione e da social senza memoria e attenti solo al presente e all’ultimo avvenimento. Hanno fatto scalpore le parole all’Angelus di domenica scorsa, con le quali il Papa ha espresso il suo dolore “per la tragedia avvenuta nelle acque di Cutro” e manifestato apprezzamento e gratitudine “alla popolazione locale e alle istituzioni per la solidarietà e l’accoglienza verso questi nostri fratelli e sorelle”.
Ha, inoltre, rinnovato l’appello affinché “i trafficanti di esseri umani siano fermati, non continuino a disporre della vita di tanti innocenti! I viaggi della speranza non si trasformino mai più in viaggi della morte!”.
Subito si sono volute interpretare queste ultime parole come una condivisione delle posizioni del governo e si è cercato di tirare il Papa da quella parte. Prima la Meloni: “Facciamo nostre le sue parole. Grande richiamo per tutte le istituzioni. Continueremo a impiegare tutte le forze necessarie per combattere i trafficanti e fermare le morti in mare”.
A lei ha fatto eco Salvini: “Lavoro, non da oggi, per mettere in pratica le parole del Papa e salvare vite”. Chi ha un po’ di familiarità col pensiero del Papa; chi ha un minimo di memoria circa i suoi interventi a favore dei profughi e dei rifugiati; chi ha seguito le sue visite nei campi di Lesbo o nei campi profughi del Congo nel corso del suo ultimo viaggio sa che il suo approcciarsi al problema drammatico, a volte tragico, è di una umanità e solidarietà col dolore difficilmente descrivibili. In un breve intervento, come esige l’Angelus, non poteva esserci un trattato sulle dimensioni del problema.
Non era il momento delle denunce. Era il momento della solidarietà. Eppure, la conclusione di quell’intervento avrebbe dovuto far riflettere: “Che il Signore ci dia la forza di capire e di piangere”. Capire che cosa? Piangere per chi? “Ognuno di voi, cari amici, porta una storia di vita che ci parla di drammi di guerre, di conflitti, spesso legati alle politiche internazionali”. Con queste parole papa Francesco, nella mensa del Centro Astalli, si rivolgeva ai profughi nel 2013.
Forse è anche il caso di tornare col pensiero a Lampedusa, sempre nel 2013. Nel febbraio 2017, intervenendo al Forum internazionale su “Migrazione e pace”, dichiarava che “la risposta alle sfide delle migrazioni contemporanee dovrebbe essere data insieme dalla comunità politica, dalla società civile e dalla Chiesa”.
Ogni anno c’è un messaggio del Papa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. A fronte di una vita di testimonianza, di viaggi nei mondi più periferici e dimenticati, di parole spese, strumentalizzare il Papa dando ad intendere che abbia iniziato a parlare di certi argomenti domenica 5 marzo è davvero troppo!
Giovanni Barbieri