Palazzi esplosi perché colpiti da missili e palazzi accartocciati da catastrofica forza tellurica di un sisma
Due immagini uguali e contrapposte ci sono arrivate contemporaneamente: palazzi esplosi perché colpiti da missili e palazzi accartocciati da catastrofica forza tellurica di un sisma. Da una parte la distruzione voluta dall’uomo e dall’altra l’esplosione di energia endogena del pianeta che, per altro, è funzionale alla sua esistenza. Una riflessione si impone anche al più superficiale degli esseri umani: la guerra è una pazzia procurata dall’homo sapiens sapiens, come lo vogliamo chiamare.
Visione cristiana o laica che si abbia della vita con Leopardi constatiamo che nobile è la persona che si dimostra forte nel dolore “né gli odii e l’ire fraterne, ancor più gravi d’ogni altro danno, accresce”. Invece, in una regione ad alto rischio sismico perché attraversata da una faglia su cui spingono tre placche tettoniche, europea, asiatica e araba, più esplosivi di tutti sono da molto tempo i conflitti militari insieme a scontri di civiltà, di prospettive politiche, di diversità religiosa. I governi che sono subentrati dopo la caduta nel 1918 dell’impero ottomano hanno speso risorse in armi di ogni sorta, anche chimiche e nucleari, affamando i propri cittadini e perseguitando i vicini.
Il sisma del 6 febbraio ha ucciso oltre trentamila persone, e il conto non è chiuso, ha ridotto in macerie Kahramanmaras città epicentro e un vastissimo territorio sulla linea di confine tra Siria e Turchia, due Stati in urto profondo con varia composizione etnica e culturale al loro interno.
La Turchia da venti anni governata da un autocrate Erdogan, sta nella Nato e con l’Ue ma con ambiguità, i turchi sono maggioranza ma ci sono anche popoli caucasici (circassi, georgiani), e gli iranici(armeni e curdi). I curdi lottano da quasi due secoli per la loro indipendenza, ma il trattato di Losanna del 1923 la escluse e sono ora divisi tra Turchia, Iraq, Iran, Siria, Armenia: ancora l’antico criterio del “dividi e comanda”, stessa politica in Africa, divisa in 53 Stati.
I curdi in Turchia sono organizzati nel partito PKK fortemente represso, disseminati attorno ad Ankara e soprattutto nel sudest (Adana, Antiochia) ai confini con la Siria dove sono stati precariamente collocati in tendopoli, in case erette in pochi giorni, i tanti profughi soprattutto curdi sfuggiti alla persecuzione della dittatura in Siria; la distruzione sismica ha rovinato anche questa provvisorietà.
Sta montando la rabbia in Turchia contro il presidente che non ha fatto leggi per la prevenzione sismica nelle costruzioni e non ha attrezzato adeguati mezzi di soccorso logistici e sanitari; ha supplito un poco la solidarietà internazionale subito arrivata a salvare vite e dare ogni aiuto. Ora Erdogan riconosce qualche suo errore ma subito si autoassolve accusando che le proteste vengono da provocatori e invoca l’unità del paese. La rabbia potrebbe avere ricadute politiche, dare una scossa al suo regime, c’è ancora qualche struttura democratica e a maggio ci saranno elezioni.
In Siria tanti giovani avevano pacificamente rivendicato democrazia dentro l’iniziativa delle “primavere arabe” partita dalla Tunisia. Non hanno vinto e in Siria si è rafforzato il regime tirannico di Al Assad, è gravissima la crisi economica per una guerra civile che dura dal 2011, sotto sanzioni, non ha chiesto aiuti, ha lasciato aperto un solo valico, ora ingombro da macerie e non arrivano ruspe, medici: usa la fame contro i curdi.
L’Italia non ha ambasciata in Siria, quello che si riesce a mandare va a Beyrut che lo passa alla Mezzaluna rossa che invia sui luoghi di crisi. Sull’autorevole rivista di geopolitica “Limes” abbiamo letto che in Siria l’Occidente ha perso e Al Assad ha vinto la guerra, il paese lo gestiscono Russia, Iran e Turchia, gli USA si aggrappano alle ambiguità di Ankara e l’Occidente non conterà più niente e subirà pressione migratoria. In Siria i Curdi, uomini e donne, hanno lottato con le loro Forze Democratiche di Sicurezza e con l’aiuto di una coalizione a guida USA sconfiggendo i militari dello Stato islamico (IS), ma la dittatura è rimasta in quella “terra dei conflitti incrociati”, vi infuria la guerra civile, i rapporti con Israele confinante sono bellicosi. Sono ancora armi e non politiche sociali e democratiche, in un Medio Oriente che produce instabilità e deliberati conflitti locali. Come se non bastasse a far rinsavire la lezione che viene dalla fisica delle dinamiche telluriche!
Una domanda filosofica sulla provenienza del male che è sulla terra
Scritto di getto il poemetto di 234 versi esprime tutto lo sconvolgimento del filosofo per il terremoto che distrusse Lisbona. Fiducioso da illuminista nella ragione non osa però gridare come Leibniz che tutto è bene. Fortemente drammatiche le espressioni che Voltaire usa: muri a pezzi, carni a brandelli e ceneri; donne e fanti ammucchiati, soffocati nei loro letti, senza soccorso perdono le loro vite tra atroci tormenti; infanti schiacciati e insanguinati sul materno seno, innocente è il lamento, legittimo il grido contro l’attacco di tutti gli elementi in un caos fatale.
La domanda inquietante è da dove nasce il male? Non da Dio che è un essere perfetto, eppure il male esiste. Voltaire argomenta con ipotesi: o l’uomo nasce colpevole e Dio lo punisce o rimane indifferente e la “materia informe, ribelle al suo padrone, porta con sé i difetti, com’essa necessari”, oppure Dio vuol metterci alla prova in un misero passaggio al mondo eterno. Quale che sia l’ardua risposta sul piano filosofico e teologico, rimane la nuda realtà che “folgori sotterranee inghiottono Lisbona” e non c’è spiegazione del perché l’innocente come il colpevole subisce il male senza scampo, in un “turbinio del mondo in cui noi carne umana siamo nel dolore verso la morte”.
Questo insegna la legge di Natura. Siamo atomi pensanti, guidati dal pensiero abbiamo misurato i cieli, con tutto il nostro essere tendiamo all’infinito, eppur non riusciamo a conoscere noi stessi. Per Voltaire non c’è redenzione provvidenziale attraverso le sofferenze, ha cantato da giovane le leggi seducenti dei dolci piaceri, ora vecchio e debole cerca un po’ di luce nella notte oscura, quella che concluderà il suo “Candide”: Nonostante tutto, dobbiamo coltivare il nostro orto. (m.l.s.)
Maria Luisa Simoncelli