Legge di bilancio senza bussola mentre la recessione  si avvicina

Il Parlamento ha approvato la manovra finanziaria per il 2023. Molte le promesse elettorali non mantenute; poche le risorse per fronteggiare la crisi economica prevista a livello internazionale

Una recente riunione della nuova Cabina di regia sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza al Ministero (Foto Presidenza Consiglio dei Ministri)

La legge di bilancio è arrivata anche quest’anno al traguardo dell’approvazione. L’illusione che una maggioranza (apparentemente) coesa e stabile, cementata dalla recente vittoria elettorale, potesse sbrigare la complicata pratica della legge più importante dell’anno parlamentare senza la solita liturgia delle sedute fiume nelle commissioni e in Aula, degli emendamenti, delle mance e degli “assalti alla diligenza” da parte dei parlamentari, con il corollario del voto di fiducia finale e delle denunce dell’opposizione di un Parlamento esautorato, è stata smentita dai fatti.
La destra al governo, dopo anni di strali lanciati dai banchi dell’opposizione, si è ritrovata a ripercorrere le orme dei governi che contestava: dall’Europa alle categorie produttive, dal mondo del lavoro fino alle lobby più disparate, sono stati tanti gli interessi in campo con cui anche Meloni ha dovuto misurarsi in un esercizio di complessità così distante dallo stare all’opposizione. Il neonato governo ha tentato di giustificare con lo scarso tempo a disposizione, determinato dalle inusuali elezioni settembrine, i tanti passi falsi compiuti nei 40 giorni di approvazione del testo di legge.

Il presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni

Gli errori, i ritardi, i dietrofront, finanche gli attacchi alla Ragioneria dello Stato hanno condito una legge di bilancio che fa i conti con le tante promesse annunciate in campagna elettorale e che si sono dissolte di fronte alla realtà – già conosciuta da tempo – dei conti pubblici italiani. Niente da fare circa l’aumento a 1.000 euro delle pensioni minime propagandato da Forza Italia: le pensioni più basse infatti saliranno solo a 600 euro e solo per gli over 75, mentre i meccanismi di rivalutazione degli assegni, così importanti in un’epoca di alta inflazione, riguarderanno solo le pensioni più basse. Nessuna “quota 41” a livello previdenziale come invece aveva promesso Matteo Salvini: chi vuole lasciare il lavoro dovrà aspettare i 62 anni di età ed aver totalizzato 41 anni di contributi e senza ulteriori interventi dal 2024 tornerà pienamente in vigore la legge Fornero.
Promessa non mantenuta per quanto riguarda l’innalzamento dell’assegno unico fino a 300 euro al mese per il primo anno di ogni figlio e fino a 260 euro dal secondo anno scritto nel programma di Fratelli d’Italia: l’assegno sale solo a 262 euro e solo per il primo anno di vita del bambino. Passati i 12 mesi, l’incremento spetta solo a chi di figli ne ha almeno tre. Il polverone mediatico sull’utilizzo del Pos per i pagamenti minimi e sull’innalzamento dei limiti all’uso del contanti è servito probabilmente a coprire le difficoltà a rispettare quanto promesso, oltre che a lanciare chiari segnali sulla tolleranza dell’evasione fiscale, già manifestatasi con la tassa piatta fino a 85 mila euro di ricavi per i lavoratori autonomi (promessa da Salvini anche per i lavoratori dipendenti, tanto per spararle grosse) e con condoni vari e “cedolari secche” che faranno perdere 1,7 miliardi di gettito.
Alla fine, l’unica promessa rispettata da Giorgia Meloni e dal suo partito, cresciuto negli anni con una strategia politica di penetrazione nelle tante periferie del Paese, è stata quella di ridimensionare il Reddito di cittadinanza che in molte di quelle periferie rappresenta l’unico sostegno per intere famiglie: un provvedimento ideologico atteso da quell’elettorato piccolo borghese che ha premiato FdI e da quei settori imprenditoriali ostacolati dal reddito di cittadinanza nella loro politica di bassi salari e bassi diritti. Il nuovo strumento a tutela dei soggetti socialmente fragili, privi di reddito e difficilmente occupabili è stata un’altra promessa della campagna elettorale non concretizzata.

Scelte che non aiutano le categorie più deboli

Andando oltre la cronaca spicciola e non esaustiva dei provvedimenti contenuti nella manovra, è dai grandi indirizzi di politica economica rinvenibili dai saldi della legge di bilancio che si possono vedere emergere i limiti più evidenti dell’azione del nuovo governo. La manovra è composta per il 2023 da 21 miliardi di euro di nuovo debito e da circa 16,1 miliardi di euro di minori spese/maggiori entrate. Il nuovo debito, che dovrà essere finanziato a tassi di interesse crescenti e senza l’ombrello degli acquisti da parte della BCE servirà interamente per coprire gli effetti perversi del caro bollette da qui al 31 marzo.
Il 60% della manovra esaurirà quindi i suoi effetti nel primo trimestre dell’anno. E per i restanti 9 mesi, in cui è prevedibile che le politiche antinflazionistiche determineranno una pesante recessione, che cosa mette in campo il Presidente del Consiglio? Una serie di interventi scoordinati tra di loro, di scarso impatto per le categorie più deboli del Paese, accompagnati da misure che riducono l’imposizione su chi già, statistiche alla mano, paga poco a fronte dei propri redditi (dichiarati o meno). In sintesi, la destra al governo non mostra di avere un’idea di come guidare l’Italia in una fase che potrebbe essere molto turbolenta; in tal modo espone i ceti popolari e il sistema produttivo a rischi potenzialmente molto grandi.
Per ora il consenso rimane alto grazie ad un’opposizione di centrosinistra priva di una bussola e alla sapienza comunicativa di una maggioranza abile nell’inanellare provvedimenti e di annunci identitari per il proprio elettorato, dalla sicurezza al nuovo regolamento contro i salvataggi in mare, corredato da parole d’ordine (“nazione” è la più abusata) e dall’individuazione di nuovi nemici. Fino a quando potrà bastare per conservare il favore popolare?

Davide Tondani