Muri e muri

Domenica 30 ottobre – XXXI del tempo ordinario
(Sap 11,22-12,2 – 2Ts 1,11-2,2 – Lc 19,1-10)

Gerico, città di mura crollate, ed è stato facile, far crollare quelle mura dico, perché si vedevano. Qui sembra che non ci siano più muri, Gesù con passo leggero e deciso attraversa la città. Nello stesso tempo però un piccolo uomo di nome Zaccheo decide che quel giorno lui lo vuole vedere in faccia questo Gesù di cui tutti parlano. E allora ci prova. A volte la vita prende svolte imprevedibili, basta volerci provare.
Forse è Zaccheo il nuovo muro da abbattere? Lui è un piccolo uomo, lo sanno tutti, perché è un peccatore pieno di soldi. Forse è il peccato l’unico muro di cui non lasciare traccia? Zaccheo è curioso, e si lascia condurre dalla vita. E sarà pure un peccatore ma è decisamente vivo, così vivo da diventare, se stiamo attenti, maestro di sapienza. Perché inventa una doppia strategia: accelera il passo (corse avanti) e cambia prospettiva (sale sul famoso sicomoro). E noi sentiamo subito che qui non si parla solo di un piccolo uomo curioso ma si parla di noi, di come possiamo sopravvivere a noi stessi. Si parla di noi e di come la vita spesso ci appesantisca a tal punto da rallentarci fino a fermarci. Invece serve velocità, occorre ridare fiato e corsa al cuore, bisogna indurre un aumento di battiti. Occorre innamorarsi. A salvarsi saranno gli innamorati, magari peccatori, ma con il cuore che “corre avanti”. E poi cambiare prospettiva. Provare a guardare il mondo da una prospettiva diversa. La vicenda di Zaccheo è tutta uno spostamento dal basso in alto. Sale su un sicomoro, poi è “raccolto” da Gesù che, alzando gli occhi, lo invita a scendere, lo coglie come un contadino raccoglie frutti maturi dagli alberi. E lui scende, scende fino a casa sua, ma una volta lì ecco che si alza ancora, si alza davvero, prima di parlare: il piccolo uomo finalmente si eleva a statura umana. Diventa uomo.
Diventare uomini: ma quando capiremo che è l’unica vocazione a cui siamo chiamati? Il peccato non è il nuovo muro, il peccato lo puoi attraversare, addirittura lo puoi trasformare in occasione, e per Zaccheo è successo esattamente questo. Poi di lui non sappiamo più nulla, quello che sappiamo è che Gesù non gli chiede niente e che comunque la sua promessa è spropositata, e chissà, forse alla fine non si è liberato proprio della metà degli averi e non ha restituito quattro volte tanto. Certo è che nessuno glielo ha chiesto e nessuno è tornato a controllare. Per Gesù comunque nessun accenno a logiche sacrificali o di riparazione. E lo immagino Gesù ad ascoltare questo piccoletto, in piedi, a declamare con solennità le sue intenzioni, immagino Gesù e il suo sorriso, che è quello di un padre, di una madre, quando il figlio esagera con le promesse. Che poi le promesse siano mantenute non è il problema, l’importante è che il figlio abbia in cuore l’entusiasmo per proiettare la sua gioia di vivere.

don Alessandro Deho’