
Già nel tempo antico: spartite come trofeo tra gli Achei nella guerra di Troia e nel ratto delle Sabine da parte dei Romani
La posizione della donna è un aspetto che caratterizza ogni società, ma forti sono le differenze in rapporto con l’organizzazione sociale: le donne greche e romane erano abituate al chiuso delle pareti domestiche, le donne etrusche invece avevano un ruolo pubblico, presenti ai banchetti e alle feste religiose e ai giochi e sempre in parità col marito. Lo testimonia il “Sarcofago degli sposi” ritrovato a Cerveteri, capolavoro dell’arte etrusca che esprime intimità e rispetto reciproco. Tutto cambiava se i loro uomini subivano sconfitte e le donne diventavano schiave e bottino di guerra spartito fra i vincitori.
Tra storia e leggenda è tragica la sorte delle donne di Troia, spartite come trofeo tra gli Achei, costrette a violenza sessuale. Lo stupro delle donne dei vinti era un ulteriore prezzo della sconfitta: i figli che nascevano acquistavano l’identità etnica e familiare del vincitore e spariva quella della madre di altro gruppo etnico, a meno che qualche divinità non intervenisse. L’Eneide di Virgilio ci trasmette le amare vicende dell’unico superstite di Troia, Enea figlio della dea Venere è il profugo che deve compiere il destino di fondare una nuova città per un nuovo popolo, il popolo romano.
Il dolore terribile delle donne di Troia è narrato nel ciclo delle cinque tragedie di Euripide raccolte nel titolo “Le troiane”. Le presenta catturate e in ansiosa attesa di conoscere a quale dei capi dell’esercito greco ciascuna di loro sarà assegnata con sorteggio, di sicuro saranno schiave, quindi considerate come cose, non persone, a disposizione del padrone ai cui piaceri non potevano sottrarsi, senza speranza, scrive il grande oratore Demostene, di potersi inserire fra le tre “categorie” di cui poteva disporre l’uomo greco: la moglie per procreare i figli legittimi; la concubina “per la cura del corpo” che in concreto significava rapporti sessuali stabili, era donna colta; l’etera “compagna per il piacere”; e anche la prostituta al più basso livello della scala sociale. Delle donne di Troia Euripide dice tutto il tormento: Ecuba la regina ridotta a schiava con mansioni non adatte a una debole vecchia, è costretta a dormire sulla nuda terra; Cassandra, rase le chiome, grida che “l’uom dabbene e saggio deve evitare sempre la guerra”, diceva una grande verità ma non ascoltata né allora né poi fino ai nostri giorni. Ha parole di furore contro Agamennone, a cui è stata assegnata, che “sacrificò l’oggetto a lui più caro”, “offrì vittima ai numi” la figlia Ifigenia per avere vittoria nella guerra contro Troia; Andromaca, moglie dell’eroe Ettore, è trascinata via col suo bambino come preda di guerra, la stessa condizione di tante mamme oggi.
La tragedia greca è sempre attuale, parla al nostro presente. Un episodio famoso di uso della donna come preda è il “ratto delle Sabine”. Romolo, forse leggendario più che reale fondatore di Roma il 21 aprile 753 a. C., prima di tutto operò per popolare la città offrendo asilo a tutti quelli che cercavano rifugio perché banditi o esuli, però mancavano le donne con cui procreare; ebbe una trovata di astuzia: invitò tutti i popoli vicini ad assistere ai festeggiamenti, durante i quali un gruppo di giovani romani rapì le ragazze intervenute alla festa, le più numerose erano le donne dei Sabini, che fecero guerra ai Romani per vendicarle, venne poi la conciliazione, nacque l’unione promossa dalle stesse donne rapite. Lo storico Plutarco scrive che si lanciarono tra le opposte fazioni per dividere e placare la collera dei contendenti, della stessa idea è Tito Livio.
Il ratto divenne strumento politico per stabilire vincoli e alleanze, per integrare i popoli conquistati. Non interpreta invece contenta e conciliata la sua sabina il Giambologna autore del gruppo scultoreo del 1583 pieno di drammaticità e violenza, posto nella Loggia dei Lanzi a Firenze: la donna è raffigurata nello sforzo di liberarsi dalla stretta di un vigoroso giovane con ai suoi piedi un vecchio che si dispera. Un filo rosso di usi e abusi lega tutta la storia delle donne. Metterlo in evidenza è un modo antiretorico di celebrare la Festa della donna).
Maria Luisa Simoncelli