
Dal libro “Gente di Pontremoli” del prof. Pirillo. L’élite li combinava per salvaguardare i patrimoni
Il prof. Paolo Pirillo, ricercatore in storia medioevale e docente all’Università di Bologna, ha frequentato l’Archivio di Stato e gli archivi domestici a Pontremoli derivandone un’indagine storico-antropologica che dà identità, continuità e mutamenti: la ricerca è diventata il libro Gente di Pontremoli. La comunità e i “signori” di Pontremoli, dipendenti da una Dominante sempre lontana, si erano assicurati un’autonomia di “quasi-stato”, che, almeno fino al 1650 nel passaggio al Granducato toscano, fu possibile con una strategia che creò equilibri e convenzioni che interessarono famiglie, parrocchie, casati, controllo sulle fazioni, partiti antagonisti.
Lo storico Pirillo conclude che la spaccatura fisica dell’abitato, determinata dalla cortina fatta costruire da Castruccio Castracani nel 1322, fece mantenere la stabilità interna. Divisi tra quelli di sopra e quelli di sotto, tra rurali e di città, i pontremolesi fecero dello scontro e della tensione antagonista un loro fattore di identità, mantenuto intensificando lo scambio con i vicini. I matrimoni, le parentele, le amicizie, le lontananze da casa della gente di Pontremoli sono un capitolo molto interessante di questo saggio. Sono i matrimoni combinati nelle famiglie medio-alte quelli che garantiscono di conservare il rango sociale.
Dal 1576 al 1850 a Potremoli furono contratti 4.512 matrimoni, colpisce la “scarsa ampiezza del mercato matrimoniale” e la sposa era quasi sempre di una delle sei vicinie o parrocchie: S. Colombano, S. Niccolò, S. Cristina, S. Geminiano, S. Giacomo, S. Pietro. Fino alla fine del Seicento prevalgono matrimoni endogami (all’interno della parrocchia) su quelli esogami allargati a tutte le vicinie del centro e anche oltre le mura, sposi e spose provenienti da fuori arrivarono successivamente intorno al 25%.
L’élite pontremolese combinava i matrimoni mirando a salvaguardare i patrimoni familiari, secondo la regola generale, solo il primogenito figlio maschio era destinato a sposarsi e a dare discendenza. La parrocchia di S. Geminiano nella seconda metà del Settecento registra un forte aumento di matrimoni, dovuto al notevole sviluppo economico che coinvolse soprattutto questa parte di Pontremoli e le famiglie disponevano di maggior ricchezza per la dote delle future spose. L’area di scelta del coniuge era ridotta perché i matrimoni erano rigidamente per classe sociale, soprattutto in quella medio-alta.
La bassa densità di popolazione era altro fattore che limitava l’offerta matrimoniale e si ricorreva di frequente a combinare matrimoni fra consanguinei. Il diritto canonico poneva gli impedimenti dirimenti, quelli che don Abbondio elenca in latinorum a Renzo, tra questi la parentela (si sis affinis), però l’ostacolo era superato con la concessione della dispensa data dalla Sacra Penitenzieria Pontificia. Nei registri in Curia vescovile di Pontremoli sono numerosi i decreti, 42 per le famiglie più ricche che chiesero dispensa per esigenze patrimoniali, ma molti matrimoni fra consanguinei furono celebrati a tutti i livelli sociali. In media le unioni matrimoniali analizzate incrociano una ventina di famiglie, le più numerose quelle dei Maraffi, Ferrari, Parasacchi, Reghini, Trincadini,Villani.
(m.l.s.)