

Se non fosse per la pandemia, le situazioni di crisi nel mondo sarebbero quelle di sempre: l’emergenza climatica, le guerre, le migrazioni, il lavoro. Si potrebbe pensare che sia inutile continuare a piangere su queste “malattie endemiche” dell’umanità. Sembra che l’umanità sia condannata ad autodistruggersi o a costruire muri per salvaguardare la propria sicurezza o il proprio stile di vita.
Ma c’è chi non si arrende al fatalismo di tale visione della vita e del mondo e cerca di alzare la voce per stimolare ad una attività che inverta la rotta dell’individualismo personale o di Stato. I temi affrontati da Papa Francesco – e soprattutto le sue sollecitazioni – nel discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la santa Sede sono di grande attualità. Gli Stati che intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede sono 183. La platea è quindi estremamente qualificata e raggiunge anche i Paesi più sperduti del mondo.
A tutti il Papa ricorda che i problemi sono interconnessi. Per quanto ogni Paese cerchi di chiudersi in se stesso sperando di salvarsi da solo, la pandemia ricorda quanto sia necessaria la collaborazione internazionale. Dove si è svolta una efficace campagna vaccinale il rischio di un decorso grave della malattia è diminuito, ma il pericolo che si riaffacci minaccioso con forme diverse partite da un qualsiasi Paese del mondo non coperto in modo adeguato dal vaccino è sempre alto.
Finché i vaccini non saranno alla portata di tutti, anche dei Paesi poveri, sarà difficile uscire dal pantano della pandemia. La cura della salute è un obbligo morale, ma è un obbligo morale anche l’attenzione dell’altro, l’attenzione alla vita dell’altro. Quando si tratta di migranti si pensa soprattutto alla propria sicurezza, e non si tiene conto della dignità degli altri, della loro disumanizzazione, concentrati in hotspot dove finiscono per essere facili prede della criminalità e dei trafficanti di esseri umani, quando non vengono trasformati in armi di ricatto politico (vedi Turchia, ma non solo), una sorta “merce di contrattazione”.
Quasi sempre sulla miseria dei poveri c’è lo sfruttamento dei Paesi che vogliono salvaguardare i propri stili di vita. Ci si meraviglia delle guerre e delle bombe; ci si dovrebbe meravigliare di più del fatto che popoli che vivono in situazioni di totale povertà possano essere ricchi di arsenali militari. Chi ci guadagna?
La stessa fame di ricchezza e di sfruttamento riguarda il mondo del lavoro. La cronaca racconta troppo spesso di fabbriche che chiudono da un momento all’altro per traslocare in Paesi più benevoli, dove si pagano meno tasse e dove costa meno la manodopera. Anche il mondo del lavoro ha bisogno di una revisione globale, dove tutti possano avere una vita dignitosa. In troppi Paesi, soprattutto del Terzo Mondo che pure fornisce ricchezza all’Occidente, non si sa neppure se certi diritti esistano.
Giovanni Barbieri