
Dopo 59 anni chiude il gruppo a carbone dell’Enel di Vallegrande. Centinaia i lavoratori lunigianesi che hanno lavorato nella centrale teatro di un precario equilibrio tra ambiente e occupazione.

Il grande processo storico della transizione energetica passa anche per La Spezia. Dopo 59 anni ha chiuso i battenti la centrale a carbone di Vallegrande. L’addio alla produzione è addirittura arrivato in anticipo rispetto alla data del 31 dicembre: il carbone è terminato nelle prime ore del 22 dicembre e la produzione si è arrestata, nonostante le incertezze degli ultimi mesi del mercato elettrico, i rincari del gas, il tentativo di rimettere in discussione il piano di uscita dell’Italia dalle fonti fossili. Inaugurata nel 1962 con 4 sezioni a ciclo convenzionale, la centrale con l’altissima ciminiera ai bordi del raccordo autostradale, arrivò a produrre fino a 1800 Mw di energia, che negli anni ’90 vennero ridotti a 1200. Un rapporto non facile, quello di La Spezia con la “sua” centrale. Le lotte ambientaliste degli anni ’80 e ‘90 portarono addirittura, nel 1991, alla temporanea chiusura della centrale da parte del sindaco Burrafato, per una presunta violazione dei limiti di emissione degli scarichi termici. Quasi 700 miliardi di vecchie lire di investimenti da parte di Enel per limitare l’immissione in atmosfera di agenti nocivi e il depotenziamento della produzione, nel 1997, non rappresentarono la fine dei problemi per una centrale strategica nel piano energetico nazionale ma che veniva percepita in loco come uno dei tanti pericoli ambientali di un comprensorio, quello spezzino, disseminato di attività critiche, dall’area IP sulla quale sorgono oggi Le Terrazze, al rigassificatore di Panigaglia, fino alla discarica Pitelli e al deposito delle ceneri della centrale a Pagliadiccio di Montedivalli, in comune di Podenzana.

La centrale “Eugenio Montale”, ha rappresentato anche un importante bacino occupazionale. A fine anni ’80 “l’Enel”, come era chiamata in zona la centrale, occupava direttamente 700 dipendenti, più altri 500 delle ditte appaltatrici. Due linee di autobus trasportavano le maestranze da Fivizzano e da Villafranca fino all’area delle Pianazze, a testimonianza dell’importanza del sito anche per la Lunigiana. L’equilibrio tra salute e occupazione è stato difficile da mantenere. Da un lato è intervenuta una parziale riconversione della produzione, con l’introduzione di due sezioni alimentate a gas naturale e, nel 2013, il rilascio di un’autorizzazione integrata ambientale. Dall’altro lato, tuttavia, i livelli occupazionali sono scesi fino alle 400 unità del 2015, l’anno in cui Enel annunciò la chiusura del carbone a Spezia entro il 2020, in ottemperanza ad un disegno di dismissione delle energie fossili. Attualmente, denunciano le rappresentanze sindacali, i lavoratori della centrale sono scesi a meno di 150 e si pone il problema della riconversione dell’area. Nel 2015 sembrava a portata di mano l’insediamento nella centrale di un centro di ricerca sulla fusione nucleare, ma l’Enea scelse alla fine di costruirlo a Frascati. Nel 2019 Enel annunciò di volere riconvertire la centrale a carbone in una a turbogas: 26 ettari di sito produttivo a fronte dei 70 attuali, non più di 30-40 addetti per una produzione di 800 Mw. L’opposizione della città e – almeno a parole – di tutta la politica locale, orientate a mettersi definitivamente alle spalle produzioni impattanti dal punto di vista ambientale, proprio nei giorni in cui si attendeva lo spegnimento del gruppo a carbone, ha dovuto fare i conti con la doccia fredda arrivata da Roma: il 10 dicembre Cingolani e Franceschini, ministri rispettivamente alla transizione ecologica e ai beni culturali hanno formalmente espresso il via libera rispetto alla compatibilità ambientale del progetto turbogas presentato da Enel e sottoposto a Valutazione di impatto ambientale. Se sindacati e Confindustria, da tempo, avevano congiuntamente perorato la causa di una centrale a energia rinnovabile, i consigli comunali di La Spezia e Arcola (nel cui territorio ricade un pezzo della centrale) e il consiglio regionale della Liguria si sono dichiarati all’unanimità contrari al progetto: un’opposizione trasversale che per pesare ha però bisogno dell’appoggio della giunta regionale, titolata a partecipare alla decisione su quali fonti fondare la transizione energetica. Nonostante il chiaro parere espresso ai livelli locali e regionali anche dalla propria coalizione, tuttavia, il presidente della Liguria Giovanni Toti, negli ultimi mesi intento a tessere con il suo movimento una fitta tela di relazioni politiche e economiche a livello nazionale, continua a tacere.
(Davide Tondani)