
Domenica 9 gennaio – Battesimo del Signore
(Is 40, 1-5. 9-11 – Tt 2, 11-14; 3, 4-7 – Lc 3, 15-16. 21-22)
Camminare sul bordo vertiginoso degli eventi con il cuore che scoppia di Assenze. Guardare come dall’albero di un veliero, sfinirsi di orizzonti che si desiderano, furiosamente si desiderano, finalmente abitati. Attendere come sul bordo di un deserto l’arrivo dei Tartari, o di un nemico qualsiasi, un avversario, comunque una presenza che dia senso al nostro esserci. Ardere su un palco quasi vuoto per l’arrivo possibile di un Godot qualsiasi. Sfinirsi, illudersi, massacrarsi il cuore purché questa attesa finisca prima che ci sfinisca. Non va bene. Non è umano.
“Il popolo era in attesa”. Povero popolo, è davvero un gioco da ragazzi illuderlo di essere quel qualcosa o quel qualcuno in grado di riempire il vuoto che ogni uomo si porta dentro. Perché poi, a furia di attendere, ti accontenti, ti convinci, anche il Battista potrebbe bastare, pur di smettere questa tortura che ci logora. E così fioriranno sempre religioni e ideologie, rivoluzioni e illusionisti del cambiamento, populismi o leader di qualsiasi colore. Che tenerezza l’uomo che attende, così bello e così fragile. Che paura l’uomo che attende, così esposto all’inganno. Gli sguardi si perdono lanciati con folle impazienza verso Qualcuno che verrà a salvarci. E poi a deluderci. E tutto a ricominciare in un tetro teatro dell’Assurdo che chiamiamo vita.
Il Battista prova a interrompere questa tragedia. Lo fa in modo deciso: “Immergiti”, dice. Scendi con me nell’acqua della morte che l’atteso non arriva da un orizzonte lontano ma dal coraggio di scendere fin nel cuore delle macerie che ci portiamo dentro. Un brivido.
Ed è battesimo. Solo allora il cielo si apre. E qualcosa come una colomba. A dire che il diluvio serve a immergerci nella verità di ciò che siamo ma che una terra c’è. Una terra bella come una promessa. Una terra che si apre come un respiro, una terra nuova su cui ricominciare. Una terra in cui camminare senza vergogna del divino. Perché Dio non ha vergogna di baciarci e di abbracciarci nel cuore delle macerie e dei fallimenti. E questa mi sembra l’unica vera buona notizia. Quella che continuo ad aspettarmi e che continuamente mi stupisce.
don Alessandro Deho’