Il 7 dicembre 1941 l’attacco giapponese alla base navale americana. E gli USA entrarono nel conflitto
Nell’autunno di ottanta anni fa la guerra diventa di tutto il mondo e le situazioni mutano drasticamente. Già il 22 giugno 1941 Hitler a sorpresa aveva attaccato l’URSS contando di realizzare rapidamente vittorie sul campo e costruire un impero tedesco nell’Est d’Europa, dopo la conquista dell’Europa occidentale: lo aveva scritto nel Mein Kampf. La direttiva data alla Wehrmacht era di procedere con ogni asprezza e di “passare per le armi immediatamente i catturati in combattimento o in azioni di resistenza”.
Il piano strategico della “guerra lampo” aveva portato i nazisti ad occupare i paesi baltici, Bielorussia, gran parte dell’Ucraina, Crimea del nord; dal 16 novembre al 5 dicembre Mosca fu investita da un potente attacco tedesco, ma l’esercito sovietico si riorganizzò e entro dicembre 1941 fu in grado di lanciare la prima grande controffensiva nel settore di Mosca, potendo contare come in passato anche sul duro inverno russo, a cui i tedeschi non erano preparati, sulle bande partigiane, la ricchezza di materie prime e gli aiuti degli Stati Uniti.
La guerra si trasformò in guerra di usura, epica fu la resistenza di Mosca e di Leningrado. Si andava verso le prime grandi sconfitte dell’Asse Berlino-Roma; l’Italia subirà la catastrofica ritirata del Don e i nazisti la disfatta di Stalingrado. Anche la campagna in Nordafrica dava i primi segni di difficoltà provocati dal generale inglese Montgomery che aveva ottenuto rinforzi decisivi.
Nel 1941 è soprattutto sul Pacifico che si apre un nuovo settore di azioni militari molto importante per l’esito della guerra, che mise di fronte Stati Uniti e Giappone. L’esercito nipponico tra la fine dell’anno e la primavera 1942 conquistò la Malesia, le Filippine, le Indie olandesi, Hong Kong, Singapore, Birmania diventando minaccioso per l’India, sbarcò in Nuova Guinea e le isole Salomone mettendo in pericolo l’Australia. Disponendo di un’eccellente preparazione aeronavale e di truppe da sbarco disciplinate e bene addestrate, i giapponesi attaccarono di sorpresa e senza dichiarazione di guerra la base militare statunitense di Pearl Harbor nell’arcipelago delle Haway per distruggerla completamente e creare nel Pacifico un solido “perimetro difensivo” fortificato perchè fosse un “cerchio di ferro e di fuoco” che neppure gli USA potessero infrangere così da costringerli ad un compromesso sul mantenimento dei territori occupati.
Ideatore dell’operazione fu l’ammiraglio Yamamoto; già da novembre mosse le speciali forze navali con rotte variate e differenti per non allarmare lo spionaggio. Fu una spia che operava a Honolulu, capitale dello stato federale hawaiano, ad avvertire che la base di Pearl Harbor non aveva ancora installato per il lancio i palloni frenati e le reti antisiluro ricevute di recente dal Pentagono. La parola d’ordine per l’attacco sarà “tora, tora, tora”.
È la mattina di domenica 7 dicembre 1941, la forza speciale giapponese giunge in posizione, i piloti con la sciarpa dei samurai pregano silenziosi davanti agli altari scintoisti e si dirigono agli aerei già rombanti sui ponti di volo. A Pearl Harbor, per non allarmare la popolazione residente, vige il servizio di pace senza fare ricognizioni aeree e il servizio radar è limitato. Alle 7,40 un soldato segnala allarmato alla base di aver ”rilevato numerosi aerei”, ma l’ufficiale di guardia al comando risponde annoiato “dimenticatene”, espressione diventata tragicamente celebre. Alle 7,46 la prima bomba esplode e la sorpresa è totale. Dal cielo 183 aerei con bombe e siluri distruggono cinque corazzate e 96 navi alla fonda, centinaia di caccia e bombardieri, la contraerea a mezz’ora dall’attacco non è ancora riuscita ad organizzarsi. Si scatena l’inferno, è un mare di fuoco, i marinai come impazziti si gettano in acqua. Un secondo attacco alle 8,54 completa l’opera di distruzione.
La contabilità del disastro è spaventosa: 2403 i morti americani, 64 i morti accertati giapponesi. Hitler e Mussolini sono felici per l’attacco del Giappone loro alleato e il re d’Italia è compiaciuto si legge nel Diario del ministro degli Esteri Ciano. Il presidente americano Roosevelt “quel giorno andò a cena molto tardi – ricorda la moglie Eleanor intervistata da Enzo Biagi – nonostante la sua ansietà, era, in certo modo, più sereno. Penso che gli desse energia il sapere che finalmente il dado era tratto”.
Il giorno dopo il Congresso in Campidoglio a Washington all’unanimità vota la guerra al Giappone: un solo voto contro. L’entrata in guerra degli Stati Uniti in meno di un anno rovesciò la situazione sui vari fronti, con la loro potenza economica poterono disporre di potenti armamenti mentre per gli avversari cominciavano a scarseggiare, sul Pacifico il generale Mac Archur preparava “l’esercito della riscossa” e nell’estate 1942 la vittoria dei marines a Midway segnò la svolta, fu la prima di tante che portarono il Giappone alla rovina finale con la resa incondizionata, piegato dall’orrore delle bombe nucleari. La rinuncia per sempre alla “essenza divina dell’imperatore”portò a una nuova Costituzione e fu instaurata la democrazia.
(Maria Luisa Simoncelli)