
Storia della pasta in dieci piatti. Dai tortellini alla carbonara (Il Saggiatore, 2020) è il libro di Luca Cesari vincitore del Bancarella Cucina 2021. Gli storici accademici studiano il “cammino dei popoli” misurato sui grandi eventi e sui grandi personaggi. Cesari non è tra questi, eppure la sua attenzione alla gastronomia lo porta a ricostruire una valida storia culturale attraverso la fatica e la gioia di preparare il cibo ed è riconosciuto esperto affidabilissimo dalle autorevoli riviste di Gambero rosso italiano e internazionale. L’uomo è infinitamente molto di più di ciò che mangia, ma la sua alimentazione dice molto sulla persona e la sua salute e anche sulle politiche sociali.
La morte per fame è ancora presente, anzi in tante parti del mondo è in aumento: è una colpevole conseguenza delle disuguagliane sociali e in totale contraddizione col consumismo di cui godiamo noi ricchi. La pasta è il piatto quotidiano che le mani delle donne hanno imparato a preparare in casa tirando la sfoglia per ricavarne deliziose tagliatelle e lasagne, più gustose le paste all’uovo. Il 25 ottobre era la Giornata mondiale della pasta e sono stati divulgati i dati quantitativi di consumo: milioni di tonnellate e l’Italia ha un posto rilevante e l’eccellenza nella coltivazione di specie antiche di grano e farro e nel dare forma a ben trecento tipi di pasta.
Luca Cesari nel suo libro ci “mette a tavola” per gustare dieci piatti di pasta, sono i “primi” nel menu casalingo o dei ristoranti, quasi sempre in passato anche piatti unici. La fantasia e l’esperienza hanno modificato le ricette che non sono state identiche a quelle che conosciamo oggi. Capita spesso di trovarsi in mezzo a conversazioni anche accese sulla “vera ricetta tradizionale” che vorrebbero proteggere quelli che scherzosamente nel libro sono definiti i “gastropuristi”. Nel panorama gastronomico italiano il primato della pasta è stata una lenta conquista. Nelle fonti storiche e letterarie della classicità non c’è: Enea mangia focacce, i Proci usurpatori nella casa di Ulisse mangiano stinchi di animali, così i greci all’assedio di Troia; nel libro sull’arte culinaria di Apicio solo selvaggina, pesci, salse. Niente pastasciutta!
Nel Medioevo preludio alle paste ripiene sono le torte campagnole. Fino a metà dell’Ottocento la pastasciutta ha uno spazio molto limitato nei ricettari italiani, poi è “esplosa” la sua presenza sul tavolo quotidiano di tutti diventando un piatto di presunta identificazione di italianità. I migranti italiani in Francia erano chiamati “maccheronì”.
Questi i dieci piatti del libro: fettuccine di Alfredo, amatriciana, carbonara, gnocchi, tortellini alla bolognese, ragù alla napoletana e alla bolognese, lasagne, pesto alla genovese, spaghetti al pomodoro.
Maria Luisa Simoncelli