Ritratti di donne che hanno fatto la storia dello sport

Far valere i propri diritti è stata impresa difficile per le donne, anche nello sport. Lo fa risaltare bene in “Dawn, Věra, Wilma e le altre, 23 ritratti di donne che hanno fatto la storia dello sport” (Bolis Edizioni, 2022) Melania Sebastiani, la giovane ricercatrice aullese che si occupa di comunicazione, inserita dal 2011 in uno dei primi siti di letteratura sportiva in Italia. In questo suo ultimo volume ricostruisce 23 ritratti d donne, intervistate di persona o studiate con precisione di notizie. Non solo gare e medaglie, ma il racconto fa ripercorrere eventi politici, dibattiti culturali per superare discriminazioni di genere rispetto ai maschi, e per tutti gli atleti neri o aborigeni la negazione di lunga durata del diritto di fare attività sportiva insieme ai bianchi per assurdi pregiudizi razziali o etnici, che ancora fanno risuonare insulti contro calciatori africani.
L’analisi parte da lontano, dal 776 a. C. quando i greci celebrarono i primi giochi panellenici ad Olimpia, ma le donne furono escluse e tenute lontane dagli stadi. Nel 1896, dopo quasi due millenni e mezzo, Pierre de Coubertin organizzò le Olimpiadi moderne però stabilì che la partecipazione della donna alle gare sarebbe stata “non pratica, non interessante, brutta e scorretta”. Questo divieto durò a lungo e le atlete in gara sono arrivate soltanto al 45% rispetto ai maschi.
Lo sport femminile si è però dato da fare in alcune discipline quali tennis, golf, vela, equitazione, croquet prima di arrivare a gare olimpiche mettendo in evidenza il fascino del linguaggio del corpo.
L’invenzione quasi contemporanea del cinema è stata utile a far ammirare pattinatrici su ghiaccio, nuoto a stile libero e sincronizzato. Esther Williams nuotatrice diventa star del cinema, i suoi film sono musical acquatici e balletti molto ammirati. La bicicletta e l’aereo vedono le prime donne gareggiare.
I ritratti di donne tracciati da Melania Sebastiani danno risalto e gloria alle loro imprese agonistiche affrontate con tenace lavoro di preparazione, ma sono inseriti in un contesto di problemi sociali, ideologici, di costume, psicologici, di vittorie su se stesse. Sanno vincere dove non pareva possibile, sanno risorgere accettando le sconfitte.
Sono storie di sport in gonnella ma anche di conquista di diritti, quelli delle “midinettes” francesi icona della marcia delle operaie della moda.
È esaltato il coraggio della sfida nelle Olimpiadi di Berlino 1936: contro le ambizioni di Hitler il nero Jesse Owen vince l’oro nella corsa e Fanny Koen olandese gareggia nel salto in alto, poi arriverà a onorare la sua patria con 59 medaglie intese come riscatto all’occupazione tedesca nel 1944.
Nel 1960 fu un grande evento l’Olimpiade di Roma. La mattatrice fu Wilma Rudolph: oro nei 100, nei 200 m. e nella staffetta, superando il mitico trionfo di Livio Berrutti primo atleta non americano a vincere l’oro nei 200 m. Wilma era una ragazza nera americana che a quattro anni fu colpita da poliomielite e la diagnosi è infausta, ma la mamma seppe trovare la via della cura con viaggi in ospedali per neri, massaggi e terapie e il “miracolo” di diventare la “gazzella nera”.
Věra Caslavska, è la più decorata atleta cecoslovacca vincitrice di sette ori, nel 1968 firma il cosiddetto “Manifesto delle duemila parole” contro i sovietici invasori.
In Messico nel 1968 due atleti afroamericani vincitori alzano il pugno in sfida per la perdurante segregazione razziale e infine alle Olimpiadi di Sidney nel 2000 Cathy Freeman è la prima aborigena a conquistare l’oro; in seguito il governo nel 2008 per superare le grandi ostilità ha censito gli aborigeni come australiani uguali ai bianchi e ha chiesto scuse ufficiali; farà poi accendere a lei il braciere di apertura.

Maria Luisa Simoncelli