Pontremoli. Iniziativa editoriale nella collana di Franco Maria Ricci. Con foto di Walter Massari
Ci sono libri che, oltre al pensiero, danno piacere fisico al tatto e alla vista; è così per La valle delle stele. Sculture megalitiche del castello di Pontremoli, Franco Maria Ricci editore (Labirinto della Masone, Fontanellato 2021). L’editore parmense da poco scomparso ha stampato tanti capolavori tipografici nel solco della tradizione del Bodoni. Il volume è introdotto da Angelo Ghiretti direttore del Museo, testi di Giorgio Antei, Fabio Martini, Lucia Sarti, splendide fotografie di Mauro Davoli, Massimo Listri e Walter Massari che con occhio d’artista ha puntato l’obiettivo sulla valle delle stele. La revisione della stampa è di Stella Pecoraro.
Alla presentazione a Pontremoli sono intervenuti G. Benelli, R. Boggi, E. Pepino e Giorgio Antei autore di gran parte del testo; il paleontologo dell’Università di Siena collega le stele a persistenti funzioni magiche e superstizioni quali i “demoni” cantati da Esiodo e i somiglianti “faccioni” trovati a Cervara. Il paganesimo in Lunigiana per Antei, che cita una giaculatoria di Giorgio Manganelli in cui le stele si animano e vivono sentimenti, si identifica con l’animismo.
Racchiudono l’identità culturale di Lunigiana, lo conferma la loro diffusione; abbattute con l’evangelizzazione, allignavano ancora come superstizioni e forme di devozione quali la venerazione dei castagni nella selva di Filetto. La narrazione prende poi forma di un diario a salti dal 1943 al 2020; l’appuntato Mancino della polfer riferì di un contorto legame fra un’aquila prigioniera in una voliera alla stazione di Pontremoli e avvenimenti che portarono alla creazione nel 1975 del museo del Piagnaro.
Le nove di Pontevecchio dissotterrate allineate nel 1905 sono nel Museo civico della Spezia; qui era stata affidata alle cure del custode un’aquila ferita; vennero nell’aprile 1943 bombe sganciate dagli inglesi, tanti i morti e gli edifici rovinati, anche quelli del Museo, l’aquila si salvò posata sulla testa della stele Pontevecchio VII come fosse guidata da un’attrazione istintiva a riconoscere legami, fece notare A. C. Ambrosi, promotore nel 1960 di un museo di antichità lunigianesi; venne l’idea di donarla a Pontremoli insieme ai calchi delle stele di Pontevecchio, il sindaco Serni la regalò al capostazione col compito di mantenerla in vita, prigioniera faceva pena.
La seconda parte del libro è un “viaggio nella memoria” che dà risalto al linguaggio figurativo estremamente essenziale ed evocativo delle stele, prosciugate da ogni elemento fisico vitale, non vedono, non parlano.
Censite da Ambrosi, nel Museo a lui intitolato sono ora 83, distinte in gruppo A, B, C, ritrovate disperse o allineate come le otto di Groppoli dissepolte nel 2001.
Gli allineamenti starebbero a indicare itinerari o confini o aree di culto, forse quelle antiche genti vollero dare legittimazione del proprio territorio chiamando in causa e ostentando immagini di antenati. Pare questa l’ipotesi più probabile che dal III millennio alla tarda età del ferro guidò alla creazione di robusti paradigmi simbolici alle soglie delle civiltà munite di scrittura. (M.L.S.)