
Domenica 30 maggio – SS. Trinità
(Dt 4,32-34.39-40 – Rm 8,14-17 – Mt 28,16-20)
La Trinità è riconoscere la voce infuocata del Divino che proveniene da ogni cosa e non morirne. Non morire uccisi di stupore, di meraviglia, non schiacciati dall’eccessiva forza dell’amore. Trinità è immergersi in un fuoco che brucia e non distrugge. “Si udì mai una cosa simile a questa? Che un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?”. Vivere la Trinità è camminare incontro alle cose, stare in silenzio, e sentire che da ogni angolo della terra, anche dal più umile, brucia la presenza dell’Amore. Che tutto ciò che ci circonda condivide la stessa nostra umana sorte: quella di narrare il fuoco che brucia nel cuore di Dio, tutto il creato è una spaccatura infuocata, come un cratere aperto sul Mistero che esplode amore incandescente. La realtà che si mostra ai nostri occhi è una “voce che parla dal fuoco”. Vivere il mistero della Trinità è immergersi in un battesimo di fuoco, è sentire che ogni cosa è “roveto che arde” della Sua presenza e quindi togliersi i sandali e inchinarsi davanti a tutto e a tutti, l’Esistente è Santuario, Terra rovente e sacra, mistero della Manifestazione Divina.
Vivere la Trinità è non morire di stupore quando scopriamo di essere scelti. Di essere chiamati con un nome che è solo il nostro, di essere chiamati a una identità unica e irripetibile. Che venire alla vita è frutto di una serie incredibile di casualità ma che una volta venuti al mondo c’è qualcuno che ci rende unici, chiamandoci per nome, scegliendo di sceglierci: “ha mai tentato un Dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra…?”. Vivere e celebrare la Trinità sia anche per noi imparare a scegliere la vita, e chiamare per nome le persone, e farle sentire uniche. Perché può essere un caso il fatto che in mezzo a miliardi di persone proprio le nostre traiettorie si siano incrociate nel qui e ora, bastava un niente perché tutto andasse in altro modo, ma vivere la Trinità è che comunque io, adesso, scelgo te, ti chiamo per nome. In mezzo a tutti scelgo di far sentire te, uomo o donna che incroci per tanto o poco tempo il mio cammino, tu che mi stai simpatico oppure no, tu che comprendi il mio cuore oppure lo maltratti, tu che non agisci come farei io, io comunque scelgo te. Tu sei mia sorella, mio fratello, perché “tu sia felice” perché felicità vera è scalzare una volta per sempre l’orfanità dal mondo. Non essere di nessuno è dramma. Far sentire l’altro “di nessuno” è peccato grave contro la Trinità.
don Alessandro Deho’