Nell’incontro con Beatrice, guida severa alla penitenza, nel paradiso terrestre, Dante aveva superato le concezioni imperfette dell’amore, si era così avviato alla comprensione dell’Amore salvifico. La bellezza di Beatrice riflette ormai la bellezza divina, che tralascia la passione per farsi guidare verso quella Divina, che l’amata riflette. Il poeta riconoscerà a lei una funzione di tipo cristologico dicendo: “tu m’hai di servo tratto a libertate” (Paradiso XXX,85). Al penitente Beatrice affiderà la missione: “però, in pro del mondo che mal vive,/ al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,/ ritornato di là, fa che tu scrive” (Purgatorio, XXXII,103-105).
L’avo Cacciaguida confermerà le parole di Beatrice: “Ché se la voce tua sarà molesta/ nel primo gusto, vital nodrimento/ lascerà poi, quando sarà digesta” (Paradiso XVII, 130-132). Qui il poeta allude al profeta Ezechiele (3,1-4) e all’Apocalisse (10,8-11), dove il libro mangiato è dolce in bocca e amaro nello stomaco anche se ne rovescia il meccanismo alla luce del De consolatione philosophiae di Severino Boezio(III,1). Come i profeti egli lotterà contro il male: “questo tuo grido farà come vento,/ che le più alte cime più percuote”(vv.133-134), immagine presa dalla Bibbia (Ez.1,4) e dalla predicazione medioevale: “Verbum Dei ventus”. Prima di salire all’empireo il poeta viene esaminato da S. Pietro, S. Giacomo e S. Giovanni sulle tre Virtù teologali: Fede, Speranza, Carità.
I Beati sanno già in Dio che egli: “ama bene bene spera e crede” (XXIV,40) ma bisogna celebrare le Virtù, grazie alle quali si accede al Paradiso, iniziando dalla Fede.
L’ESAME SULLA FEDE
Alla prima domanda di S. Pietro: “Dì, buon cristiano, fatti manifesto: / la fede che è” risponde citando S. Paolo: “fede è sustanza di cose sperate e argomento delle non parventi” (XXIV,61-65). (cfr. Lettera agli Ebrei 11,1) Dante afferma che questa fede gli viene dalla Grazia dello Spirito Santo profuso nella Bibbia: “La larga ploia/ de lo spirito Santo, ch’è diffusa/ in su le vecchie e in su le nuove cuoia, (pergamene)/ è sillogismo che la m’ha conchiusa” (v.91-94).
Inoltre sono confermate dalle opere e dalla universale diffusione della fede cristiana. Sollecitato ad esplicitare la fede: “or convien espremer quel che credi”, il poeta rielabora il Credo partendo dalla unicità e eternità di Dio: “io credo in uno Dio/ solo ed etterno, che tutto ‘il ciel muove,/ non moto, con amore e con disio”.
“E a tal creder non ho io pur prove fisice e metafisice, ma dalmi anche la verità che quinci piove per Moisè, per profeti e per salmi, per l’Evangelio e per voi che scriveste poi che l’ardente Spirito vi fé almi” (vv.133-138) Il testo, costruito sulle parole di Gesù (Lc.24,44): “bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei profeti e nei salmi”, conferma la Scrittura quale causa della sua fede.
Il poeta celebra la dottrina dell’Unità e Trinità di Dio: “De la profonda condizion divina / ch’io tocco mo, la mente mi sigilla/ più volte l’evangelica dottrina” (vv.142-144).
La fede di Dante è quella del farsi il segno della croce, nel quale sono contenute le verità della fede: l’Unità e Trinità di Dio, nelle parole: “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo”, e l’incarnazione, passione, morte, e resurrezione, nel segnarsi con la croce. L’esame è terminato, subentra l’Apostolo Giacomo sulla virtù della Speranza.
don Pietro Pratolongo