La Sacra Scrittura come faro nel viaggio dalla “selva oscura” alla “Somma Luce”
Nel primo canto della Commedia Virgilio comunica a Dante che “la bestia senza pace” non consente di salire il colle della felicità e quindi bisogna “tenere altro viaggio” attraverso gli inferi. Dante accetta, ma nel secondo canto manifesta i suoi dubbi, le sue perplessità e chiede a Virgilio se questo è possibile poiché coloro che lo avevano fatto, Enea e S. Paolo, erano autorizzati da Dio per la loro missione: un “alto effetto” per tutta l’umanità.
Nel VI libro dell’Eneide, infatti, si racconta la discesa agli inferi di Enea, che deve essere informato dal padre Anchise sugli eventi che porteranno alla fondazione di Roma: Dio stesso lo aveva “eletto” per “padre” “de l’alma Roma e del suo impero”. Dopo Enea, “andovvi poi lo Vas d’elezione / per recare conforto a quella fede / ch’è principio a la via di salvazione”. Il riferimento è alla II Lettera ai Corinzi (12,2-4) dove Paolo parla di un suo “rapimento – raptum” in “paradisum” dove “udì parole arcane che l’uomo non po’ dire”. Sono due missioni profetiche e provvidenziali, in particolare quella dell’apostolo definito: “il gran vasello / de lo Spirito Santo” (Paradiso XXI,127-128). Tale titolo proviene dal Libro degli Atti degli Apostoli ( 9,15) dove Dio lo chiama “vas electionis est mihi iste”, nel senso figurato di “eletto” per certificare agli uomini la salvezza.
Davanti a loro Dante è assalito dal dubbio: cosa lo rende degno? quale la sua missione? quale autorità divina lo concede?. “Ma io, perché venirvi? O chi ‘l concede? / Io non Enea, io non Paolo sono; / me degno a ciò né io né altri ‘l crede.” (II,31-33). Il poeta ritiene “follia” un atto non autorizzato, con un accompagnatore “savio” ma pagano: “temo che la venuta non sia folle”. L’allusione si comprende alla luce del viaggio presuntuoso di Ulisse oltre le colonne d’Ercole: “l’alto passo” che si concluse quando “’l mar fu sovra noi richiuso” (XXVI,142).
Dante non vuole fidarsi delle sole sue forze e non intende violare i limiti posti da Dio. Si rivela così l’investitura profetica di Dante, che unirà i due viaggi di Enea e di Paolo in una nuova missione di pace per l’umanità sia nell’ordine terreno del diritto, sia nella conversione dal peccato alla felicità eterna. Un nuovo Enea, un nuovo Paolo, il cui viaggio sarà costruito sui due modelli dell’Eneide e della Sacra Scrittura. All’opposto Ulisse: il modello errato della presunzione, che fa a meno di Dio. Consapevole della propria debolezza, Dante come Mosè (Es. 3,11), con l’aiuto di Dio, accetta la missione.
Virgilio gli rivela che la sua missione e il suo viaggio sono voluti e autorizzati dalle tre donne benedette (II,124). Nel Limbo era stato raggiunto da una donna “beata e bella” (Beatrice), la quale gli aveva rivelato che S. Lucia (inviata dalla Vergine Maria) l’aveva spinta a intervenire presso Virgilio per convincerlo a correre in soccorso di Dante. L’Amore compassionevole muove Maria, ma anche l’amore di Dante per la “donna amata” muove Beatrice. Nonostante i suoi errori, Dante, colui che ha cantato nobilmente l’amore, (La Vita nova) rimane degno di essere amato e soccorso dall’amata. È sempre l’Amore che muove i personaggi positivi della Commedia. La missione di Dante completa quella di Paolo, che non aveva detto quanto visto e udito; Dante invece dovrà dirlo a tutti. Il silenzio dell’apostolo aveva prodotto letteratura già dal III secolo, con gli apocrifi paolini, e nel Medioevo “Il Purgatorio di S. Patrizio” del 1180. Nell’invocazione ad Apollo (Paradiso I,13 ) Dante chiede di essere fatto “vaso” (riferimento all’apostolo), diventando così viaggiatore, narratore e profeta; una vera missione, come sottolineato da Papa Francesco.
don Pietro Pratolongo