La realizzazione della galleria proprio sotto l’antico passo appenninico portò prima alla costruzione delle baracche del cantiere, poi ad un vero e proprio nucleo abitato
Panorama del Borgallo oggi: si noti sulla sinistra la pista di atterraggio per gli elicotteri. Sullo sfondo la stazione di Grondola Guinadi da tempo abbandonata
Oggi al Borgallo c’è perfino una pista per l’atterraggio degli elicotteri e quasi tutte le case sono state ristrutturate, anche se l’abbandono della stazione ferroviaria è una ferita aperta. Ma fino agli anni Ottanta dell’Ottocento il Borgallo altro non era che il valico dell’Appennino utilizzato per secoli, già prima del Mille, nelle comunicazioni tra i due versanti. Da quasi un secolo e mezzo indica invece il luogo dove venne impiantato il grande cantiere per la realizzazione della galleria transappenninica lunga 7.972 metri sulla linea ferroviaria La Spezia – Parma.
È don Luigi Castellotti a spiegarlo nel “Solitario”, l’almanacco che pubblicò anche negli anni dei lavori. “Quindi, oggi, quando si dice vado al Borgallo, s’intende dire vado ai Baracconi o alla Galleria”. Era il 1888! Era dunque il luogo del cantiere e del lavoro, ma anche della vita quotidiana, dove i componenti di intere famiglie si erano trasferiti per essere impiegati nelle mansioni più diverse. E qui si nasceva, segno che molte donne, pur di lavorare, restavano nei cantieri fino al compimento del tempo del parto, a volte probabilmente anticipato perché indotto dalle dure condizioni di lavoro e dalla fatica.
Dallo stato civile della Parrocchia di Grondola sappiamo che nel primo anno di apertura del cantiere (fra il settembre 1888 e il settembre 1889) al Borgallo erano nati ben 10 bambini, tutti definiti “forastieri”. Nello stesso periodo a Grondola ci furono 31 neonati su una popolazione di 444 persone, cento delle quali “nell’America”.
Quando don Castellotti scrisse a Roma
perché si cambiasse nome alla stazione
Cartolina con la stazione di Grondola-Guinadi da una foto di don Luigi Castellotti della fine dell’Ottocento
“Un patente errore”: così don Luigi Castellotti, parroco di Grondola, nel 1890 definiva la scelta della prima denominazione, “Guinadi”, per la stazione che si stava costruendo sulla sponda sinistra del torrente Verde e dunque nel territorio di Grondola!
Lui, guinadese di nascita, condivideva tuttavia le opinioni dei suoi parrocchiani, contrari ad accettare supinamente quella che ritenevano una vera e propria usurpazione, al punto da scrivere una lunga lettera al Ministro dei Lavori Pubblici. Prima di consegnarla “ad un deputato al Parlamento di mia fiducia onde la recapitasse a destinazione e l’appoggiasse affinché avesse esito felice” don Castellotti la fece firmare ad un folto gruppo di grondolesi. Una missiva che, il 12 aprile 1890, il parroco concludeva con una richiesta precisa ma anche con una possibile mediazione: “si porge umile istanza – scriveva infatti – affinché d’ora in poi la ricordata Stazione sia chiamata Stazione di Grondola od anche nella peggiore ipotesi Stazione di Grondola-Guinadi”.
Così avvenne: infatti lo stesso don Castellotti pochi mesi dopo riferiva che al Sottoprefetto di Pontremoli era giunta la risposta del Ministero che aveva approvato una delibera nella quale “veniva decretato che la prementovata Stazione d’ora innanzi sarebbe chiamata di Grondola-Guinadi e non più di Guinadi solamente come prima”.
Il parroco di Grondola scriveva anche che avrebbe atteso con ansia il completamento della ferrovia “per sentire il fischio della vaporiera salutare la Novella Stazione e per vedere risorgere dalle rovine dei secoli il nome glorioso di questo paese e per vederlo di nuovo manifesto a tutta Italia sugli Orari ufficiali delle Ferrovie”.
La cosa tuttavia procurò a don Castellotti qualche guaio con i compaesani di Guinadi che lo avevano accusato di essere un “traditore della patria”, ma il sacerdote non esitò a ribattere. Sono nativo di Guinadi, spiegava, ma “è altresì vero che sono parroco di Grondola”, quindi “per salvare la capra e i cavoli chiedevo che si chiamasse la detta Stazione almeno Grondola-Guinadi, ma il primo nome fosse Grondola”!
Bambine impiegate nel trasporto delle pietre nel cantiere della stazione al Borgallo
Quella zona negli anni del cantiere era tutto un brulicare di persone: “oggi, 6 dicembre 1888 – scrive ancora don Castellotti – gli operai che in tre diverse sciolte lavorano entro la Galleria sono 650, quegli che lavorano fuori sono circa 200”. Contro le condizioni di lavoro, la scarsa sicurezza e la paga bassa, il 7 maggio 1890, più di mille operai incrociarono le braccia: lo sciopero si protrasse per nove giorni, diciotto operai furono arrestati, ma alla fine il lavoro riprese solo all’accoglimento di molte delle richieste. Il lavoro all’interno della galleria continuò così come quello, all’esterno, al ponte in ferro per collegare il tunnel con la nuova stazione.
Molto lavoro veniva svolto da uomini, donne e bambini con l’aiuto degli animali, ma per velocizzare il cantiere venne impiantata una funicolare “mossa dal meccanismo dei compressori come pure da questo meccanismo è prodotta la luce elettrica che da tempo funziona e illumina il Cantiere e la così detta Discarica ed altri luoghi”.
Il Borgallo oggi con la Valle del Verde e, in alto a sinistra, i ruderi del castello di Grondola
Non sappiamo se la “Discarica” sopra citata fosse il punto al di là del grande piazzale dove veniva scaricata nel fiume roccia e terra estratta dalla galleria; di certo sappiamo però che il Consiglio Comunale di Pontremoli più volte si occupò, peraltro senza ottenere risultati, del continuo scarico nel torrente dei detriti derivanti dallo scavo delle gallerie. Il materiale, infatti, era in così ingente quantità da provocare il progressivo innalzamento dell’alveo e da allarmare le comunità a valle per le conseguenze delle piene periodiche con le acque capaci di raggiungere livelli inusuali.
Sul finire del 1888 la stazione era quasi terminata e qui entrò in funzione un ufficio telegrafico “ad uso degli uffici dell’Amministrazione delle Ferrovie da Pontremoli a Borgotaro”, mentre da Pontremoli al Borgallo “per il Governo vi è anche un servizio telefonico”!
Negli anni i “Baracconi” del cantiere si trasformarono in edifici in muratura e i servizi offerti si moltiplicarono; ancora don Castellotti ci informa che “al Borgallo vi è una cassetta postale per le lettere. Vi è pure una specie di caserma pei Regi Carabinieri”. E poi caffè, ristoranti, locande, trattorie, alberghi, sarti, calzolai, fruttivendoli, macellai, panettieri e tabaccai.