Verso un Sinodo della Chiesa italiana: riconoscersi comunità resa viva dalla fede in Cristo

Cosa se ne pensa all’interno della Chiesa apuana

L’intervento di Papa Francesco al Convegno Ecclesiale di Firenze nel novembre 2015

A oltre cinque anni dalla prolusione di Papa Francesco al Convegno Ecclesiale di Firenze, l’idea di un sinodo della Chiesa italiana ha ripreso forza, spinta dal Papa stesso, da alcuni suoi eminenti collaboratori e dal presidente dei vescovi italiani, card. Gualtiero Bassetti, che recentemente ha parlato della necessità di dar vita a percorsi di sinodalità in ogni diocesi “in cui la comunità ecclesiale non solo si metta in movimento ma si guardi nello specchio delle Beatitudini e le metta in pratica concretamente”.
È un cammino, quello sinodale, accolto positivamente anche dalle persone che abbiamo voluto ascoltare in rappresentanza di tutte le componenti (presbiteri, laici, suore) della Chiesa apuana. Che questa fase storica sia propizia per cominciare il cammino sinodale traspare dalle parole di suor Sandra Maria Borruto (Missionarie di Maria), secondo la quale “affinché una vera sinodalità basata sul riconoscersi comunità diventi realtà, ci sarà bisogno di tempo, di investimento e di discernimento, ma mai come in un tempo come quello che stiamo attraversando le persone sentono l’esigenza della comunità”.

suor Sandra Borruto

Al centro del cammino sinodale, secondo suor Sandra, dovranno essere l’annuncio e la catechesi. Una parola, catechesi, posta in evidenza anche da Chiara Mariotti, docente di Sacra Scrittura alla scuola diocesana di formazione teologica: “Il sinodo è un processo catechetico: è l’esperienza di una Chiesa che si riconosce come popolo. Vi sono tutte le premesse perché la Chiesa, con il sinodo, compia l’unico cammino possibile per una comunità che voglia riconoscersi convocata dallo Spirito del Risorto: una multiforme unità in cammino, vivificata dalla fede in Cristo”.

Don Maurizio Iandolo

L’attenzione al metodo, più che ai contenuti, accomuna anche le riflessioni di don Maurizio Iandolo, vicario per la Pastorale, e di Marco Leorin, presidente diocesano di Azione Cattolica.
Secondo don Maurizio “è necessario che la Chiesa non si ponga in ascolto un gradino sopra gli altri: la sinodalità richiede una Chiesa che partecipi, che si metta in comunione, che esca ad incontrare gli uomini e le donne del proprio tempo: senza di ciò non vi è sinodalità”.
Da parte sua, Leorin esprime la convinzione che convocare un sinodo significhi “avviare un percorso di profondo cambiamento fondato su tre elementi imprescindibili: l’ascolto, la corresponsabilità e il discernimento personale e comunitario”. In sintesi, l’assunzione di un atteggiamento sinodale da parte della Chiesa sembra essere l’elemento principale sottolineato da tutti gli intervistati: se ci si porrà in quest’ottica, emergeranno anche i contenuti.

Marco Leorin

Sul piano locale, quello su cui bisognerà lavorare da principio – il Papa ha espresso il desiderio di un sinodo che parta dal basso, dalle Chiese particolari – sarà la riscoperta dell’eredità del Sinodo diocesano che la Chiesa apuana tenne dal 2003 al 2006: “Ero uno dei partecipanti giovani – ricorda Leorin – ho bene in mente le discussioni assembleari e i momenti di preghiera per chiedere allo Spirito Santo di illuminare il nostro cammino. E i frutti del lavoro si sono visti: siamo stati capaci di offrire alcune indicazioni importanti, una su tutte la strada delle unità pastorali di cui finalmente, in questi ultimi anni, abbiamo iniziato a parlare”.
Una posizione che ricalca quella di Chiara Mariotti, che ricorda come diverse realtà della Chiesa apuana abbiano tratto impulso proprio dallo stile sinodale appreso in quell’assise, ad esempio i Gruppi di Ascolto della Parola o la scuola di formazione teologica: “luoghi dove le caratteristiche ecclesiali di ciascuno – racconta Mariotti – sono state messe al servizio di un cammino comune”.
Se nessuno nega che molti personalismi affliggano la nostra Chiesa, suor Sandra evidenzia che all’interno dell’Ufficio Evangelizzazione e Catechesi, che coordina, “già da tempo la sinodalità era il modo di lavorare, ma quest’anno mi sembra che le persone siano molto più disponibili: si sente davvero l’urgenza di fare insieme, di collaborare indipendentemente dai movimenti e dalle associazioni di appartenenza”.
Certo, non mancano le difficoltà e don Maurizio non esita a evidenziarle: a partire dal Covid – “ci sono percorsi di sinodalità già esistenti da sostenere ma il distanziamento impedisce di farlo proficuamente” – fino ai problemi che hanno afflitto la Diocesi, di fronte ai quali “è necessario riavvicinare la gente che ha perso fiducia in noi con un linguaggio di comunione”.

(Davide Tondani)