Solo la procreazione permette il perpetuarsi dell’umanità; sono le nascite il nostro oggi, il domani, la speranza, la pienezza della vita. Eppure i dati Istat, relativi all’andamento demografico del 2019, mostrano una situazione inquietante. I neonati del suddetto anno sono stati 420.084, quasi 20 mila in meno rispetto al 2018. Un triste superamento al ribasso del record di denatalità.
Né le previsioni lasciano ben sperare per il 2020: purtroppo si calcola che ci saranno ulteriori 10 mila culle in meno dell’anno precedente.
Né le previsioni lasciano ben sperare per il 2020: purtroppo si calcola che ci saranno ulteriori 10 mila culle in meno dell’anno precedente.
Una società, la nostra, che invecchia rapidamente e nella quale fare figli non è più una priorità. Le cause di tale drastica e preoccupante riduzione sono riconducibili a diverse ragioni. La posticipazione dell’età del primo parto: oggi, in media, si diventa mamme oltre i 30 anni e ciò riduce la potenzialità di avere figli tanto che, per la prima volta, sottolinea l’Istat, diminuiscono pure i “primi figli”.
Diminuiscono le donne in età feconda e fertilità maschile dovute ad una nutrita serie di fattori: stress, sedentarietà, sostanze inquinanti, cattiva alimentazione. Pesa la crisi economica, che da anni incide sui bilanci familiari e che si è alquanto ingigantita a causa della pandemia. Ma c’è anche chi antepone al dono meraviglioso di un figlio il raggiungimento di altri obiettivi oppure ci sono scelte “imposte”, dovute ad una società che carica sulle spalle femminili il fardello delle cure, dell’assistenza (ai disabili o degli anziani), del lavoro casalingo emarginando le mamme dal mondo dell’economia e della professionalità.
Diminuiscono le donne in età feconda e fertilità maschile dovute ad una nutrita serie di fattori: stress, sedentarietà, sostanze inquinanti, cattiva alimentazione. Pesa la crisi economica, che da anni incide sui bilanci familiari e che si è alquanto ingigantita a causa della pandemia. Ma c’è anche chi antepone al dono meraviglioso di un figlio il raggiungimento di altri obiettivi oppure ci sono scelte “imposte”, dovute ad una società che carica sulle spalle femminili il fardello delle cure, dell’assistenza (ai disabili o degli anziani), del lavoro casalingo emarginando le mamme dal mondo dell’economia e della professionalità.
In questo scenario il diminuire dei vagiti dei neonati significa condannarsi all’estinzione. Andando avanti di questo passo è stato calcolato che, nel rapido passare di pochi anni, tre quinti dei bambini dovranno fare a meno di quella rete protettiva familiare costituita da fratelli, zii, cugini…
Certo ci sono la crisi, la carriera, i costi della scuola, dei corsi di danza, di nuoto, di musica e di quant’altro. Insomma, in tale marasma i bambini non sono “convenienti” come se entrassero in competizione con altri beni di consumo.
Certo ci sono la crisi, la carriera, i costi della scuola, dei corsi di danza, di nuoto, di musica e di quant’altro. Insomma, in tale marasma i bambini non sono “convenienti” come se entrassero in competizione con altri beni di consumo.
Va da sé che una politica seria e incisiva deve impegnarsi ad affermare una cultura per la parità di genere includendo la ripartizione delle responsabilità delle cure familiari tra uomini e donne. Spetta allo Stato investire nel sostegno alla genitorialità con leggi e finanziamenti mirati per tutelare e supportare le giovani famiglie con strutture adeguate affinché le coppie ritrovino la speranza e l’amore per la vita: valore primario rispetto a tutti i beni dell’esistenza.
Papa Francesco, durante l’Angelus della Giornata per la vita, ha detto: “Sono molto preoccupato per l’inverno demografico che sta vivendo l’Italia. Le nascite sono calate e il futuro è in pericolo. Prendiamo questa preoccupazione e facciamo in modo che questo inverno demografico finisca e fiorisca una nuova primavera di bambini e bambine”.
Ivana Fornesi