Al centro delle lotte tra Parma, Piacenza, Pontremoli e i Malaspina dal XII al XVI secolo.
Rocca ambita per lunghi secoli oggi è abbandonata.
Un bene storico da valorizzare che versa in condizioni precarie
Grondola sorge a picco sulla stretta gola del fiume Verde, in una posizione dominante rispetto alle principali vie di comunicazione medioevali; proprio per la sua importanza strategica, è stata definita dal geografo e storico Emanuele Repetti “la chiave di valico dell’appennino pontremolese”. Il ruolo fondamentale assunto nel periodo medioevale dal castrum Grundulae ha origine quindi dal suo essere posto a presidio della via del Brattello, il cui controllo diviene, negli ultimi decenni del XII secolo, terreno di scontro tra i comuni di Piacenza, Pontremoli, Parma e i marchesi Malaspina.
Fermiamo il degrado
Un accordo per evitarne la scomparsa Avvolto nell’abbraccio, ogni anno più stretto, di una vegetazione sempre più invadente, il castello di Grondola è lì che aspetta di tornare al centro dell’attenzione e di poter essere salvato da una rovina ormai prossima. Pietre che crollano, muri che si sgretolano, minaccia di frane, il “castrum Grundulae” è di proprietà privata, di quelle non facili da coinvolgere visto che coloro che possono vantare un diritto su di esso sono tanti e gli eredi sparsi in varie aree del mondo.
Eppure non ci si può rassegnare ad una rovina che oggi può ancora essere evitata. Servirebbe un tavolo attorno al quale sedersi: rappresentanti della proprietà, quelli del paese, la Soprintendenza (cioè il Ministero dei Beni Culturali) e gli Enti Locali, dal Comune di Pontremoli alla Regione Toscana.
Non vogliamo dare indicazioni su chi debba essere convocare quel tavolo, vogliamo però sollecitare chi ha le competenze, politiche e amministrative, ad intervenire e femare il degrado, recuperando al patrimonio collettivo un bene che ha rappresentato un punto di riferimento per un vasto territorio.
A Grondola e attorno al suo castello per secoli è stata scritta la storia: la rovina di quella struttura non può essere tollerata. Il problema non devono essere le difficoltà, nè quella di trovare un accordo con i proprietari, nè il reperimento dei finanziamenti necessari al restauro. Il degrado può essere fermato! (Paolo Bissoli)
Il comune di Piacenza intraprende in quel periodo una politica espansiva, cercando di deviare i traffici dalla Cisa al Brattello e di sottrarne a Parma il dominio. La lotta, nel cuore dell’Appennino, vede una momentanea vittoria di Piacenza che, nel 1195, ottiene da Alberto Malaspina, signore del luogo, la vendita del poggio di Grondola per 215 lire piacentine.
Nella pace firmata nello stesso anno, i Malaspina rimangono detentori del castrum come feudatari del comune di Piacenza. Vedendo minacciati i propri interessi, Parma reagisce e anche i pontremolesi, che da tempo ambivano al possesso del castello, non accolgono favorevolmente la politica aggressiva dei piacentini; se fino al 1195 erano uniti in alleanza con questi, la mutata situazione politica e l’infeudazione di Grondola ai Malaspina cambia rapidamente gli accordi. Il XIII secolo vede la ripresa del conflitto per il possesso del castello e la presenza di un nuovo attore politico: l’imperatore Federico II di Svevia.
Secondo le cronache del tempo, nel 1240 i pontremolesi occupano di sorpresa Grondola e ottengono la dedizione dei suoi abitanti, provocando la reazione di Parma che si rivolge direttamente all’imperatore. Federico II, per punire l’atto proditorio di Pontremoli, ordina la distruzione delle torri e delle porte della città e, alcuni anni dopo, dona il castello di Grondola, con tutta la curia e le pertinenze, alla fedele città di Parma.
Per evitare controversie riguardo alla donazione, l’imperatore ordina di stabilire, con atto pubblico, i confini del territorio su cui il castello esercita la sua giurisdizione; confini molto ampi che si estendevano dal monte Gottero, al Molinatico e al monte Pelata.
I rapporti tra l’imperatore e l’alleata Parma si guastano di lì a poco, in seguito al rientro nella città emiliana della fazione guelfa ostile a Federico; i pontremolesi con lui approfittando della favorevole situazione politica e ottengono la cessione del castrum Grundulae. Il possesso si rivela però di breve durata: nel 1248 Federico II dichiara di nessun valore la donazione alla città di Parma ma non riconferma il possesso Grondola ai pontremolesi, avocando invece il castello e il suo territorio al pieno dominio della Camera imperiale. Nei secoli seguenti il destino del castello è segnato dagli eventi che coinvolgono l’intero territorio italiano.
Nel 1402 i Rossi di Parma divengono signori di Grondola, ma nel 1408 Luca Fieschi assedia il castello e lo sottrae dopo una sanguinosa battaglia e nonostante il tentativo disperato di Pier Maria Rossi che tenta di liberarlo partendo da Felino con quattrocento cavalieri e trecento fanti. Durante il dominio su Pontremoli da parte degli Sforza, Parma non rinuncia ai territori che detiene oltre confine e rivendica nuovamente il possesso di Grondola.
La cronaca di Bernardino Campi riporta, a questo proposito, una missiva del 1457 in cui il comune di Parma lamenta una eccessiva ‘ingerenza’ di Pontremoli nel territorio di Grondola e la ‘molestia’ arrecata a quelli che sono definiti i ‘nostri uomini di Grondola’. Nel 1499 Lorenzo Reghini, luogotenente del re di Francia Luigi XII, diventa castellano dei castelli del Piagnaro e di Grondola. Il forte legame secolare con Parma tuttavia non si interrompe: nel 1512 la città emiliana chiede a papa Giulio II il reintegro nel possesso del territorio di Grondola, che non va a buon fine per la morte del pontefice nel febbraio del 1513. Dal XVI secolo, mutate le condizioni storiche, con il passaggio definitivo nel territorio pontremolese, il castrum ha conosciuto un progressivo degrado.
Lo storico Mario Niccolò Conti definì il castello di Grondola
“il più valido e più fine della Lunigiana”Il pregio architettonico del castello può essere riassunto nelle parole dello storico Mario Niccolò Conti, che così descriveva la torre di Grondola: “ho altra volta definito la torre di Grondola come il monumento architettonicamente più valido ed artisticamente più fine della Lunigiana tutta, e di molte parti d’intorno; ricordo ora, in più, che questa torre dobbiamo ad una scuola, o corporazione, di maestri lapidici, di maestri muratori e di maestri architetti che ebbe il suo centro in Val Verde… Il modo del suo innalzamento, la singolarità degli elementi architettonici, la manifestazione di una superiore sensibilità che a tutto, in essa, ha presieduto e sovra queste cose, ancora, il segno di un dono che la natura ha concesso a pochi: quello di conoscere, di intendere, di assaporare la pietra… Nella torre le spesse murature dei suoi quatto lati hanno facies diverse tra esterno ed interno, ove la volta a botte terminale corona, nella grandezza dei suoi conci, la calma austerità dei fianchi, mentre fuori, entro i limiti di una imposizione da tradizione e da tecnica, la cortina si svolge a tessuto minore in superbo disegno”.