Confronti filologici e stilistici
L’Archivio di Stato della Spezia conserva due atti relativi alla pace del 6 ottobre 1306: uno è la procura a Dante a firmare la pace col vescovo di Luni al posto dei Malaspina, che per qualche ragione non vollero essere presenti. L’altro registra la pace; è redatto in rigido stile tecnico-giuridico nella parte sicuramente del notaio Giovanni Parente Stupio, ma il preambolo (arenga), inconsueto in atti giuridici, rivela una personalità di alto profilo stilistico e culturale che legittima l’ipotesi che sia di mano di Dante accolto con funzioni di cancelleria dai Malaspina. L’ipotesi è stata avanzata da alcuni studiosi ma senza prove concrete.
Il filologo Emiliano Bertin sulla rivista Italia medioevale e umanistica (n.46, 2005) contribuisce a concretizzare l’ipotesi con otto argomenti di analisi critica dell’esordio, che indichiamo in sintesi dopo la traduzione letterale del testo.
“Da troppo tempo imperversando una diabolica forza, tra il venerabile padre e signore, signor Antonio per grazia di Dio vescovo e conte di Luni e i magnifici uomini e eccelsi signori Moroello, Franceschino, Corradino e fratelli, marchesi Malaspina, sorte guerre inimicizie e odi, a cui omicidi ferite stragi incendi grandi danni e moltissimi pericoli seguirono e la provincia di Lunigiana lacerata in diversi modi, i sopradetti signori, vescovo e marchesi aderenti all’esempio del Sommo Padre che diceva ai suoi discepoli “vi do la mia pace, la mia pace lascio a voi” accoglienti lo stesso effetto dell’opera mediante il trattato del venerato e devoto uomo signor frate Guglielmo Malaspina e di fra Guglielmo da Godano del santissimo ordine dei Frati Minori, comprendenti anche che per ogni regno deve essere desiderabile la tranquillità, nella quale i popoli progrediscono ed è salvaguardata l’utilità dei popoli che è adeguata madre delle buone attività, aumenta il genere umano con la successione che si rinnova amplia le possibilità, educa i costumi e a fatica si conosce quanto ci sia di virtù, nella libera tranquillità dei loro amici seguaci e sudditi e compiacendosi della tranquillità di uomini liberi e della bellezza della pace, per grazia dell’eccelso salvatore alla infrascritta pace e perpetua concordia arrivarono”.
Gli argomenti sono: un sapiente tessuto sintattico introdotto da due ablativi assoluti, soggetto, cinque subordinate rette da participi presenti, legate a citazioni morali fino alla forza conclusiva del tempo perfetto del verbo: devenerunt. Poi la ripresa dei vocaboli, l’elenco dei delitti che hanno macchiato la Lunigiana, il contrappunto con le virtù, la citazione evangelica, la denominazione di Cristo come Padre, un vocalismo fonico (che un po’ si perde nella traduzione) ottenuto con un crescendo di sonorità, la forte discontinuità stilistica con la parte giuridica notarile. Il preambolo rispecchia elementi degli studi e delle letture di Dante: ci sono citazioni dal Vangelo, dalle Lettere di Paolo, dalle Variae di Cassiodoro.
Le coerenze con gli stessi scritti di Dante – specialmente il Convivio, “il cui scartafaccio doveva giacere sullo scrittorio dell’Alighieri proprio nei giorni del soggiorno lunigianese” – portano il filologo medioevale Bertin a concludere che, in assenza di una prova definitiva, l’attribuibilità a Dante del frammento lunigianese è “un’ipotesi decisamente più concreta e, soprattutto, sostenibile”.
(m.l.s.)