Papa Francesco ha firmato ad Assisi la nuova enciclica “Fratelli tutti”
Fratelli tutti, era l’incipit con cui San Francesco d’Assisi si rivolgeva ai suoi fratelli e sorelle ed è il titolo della nuova enciclica emanata da Papa Francesco il 3 ottobre e firmata sulla tomba del Santo di Assisi. Si legge nell’Enciclica: “La Chiesa […] con la potenza del Risorto, vuole partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato delle nostre società, dove risplendano la giustizia e la pace” (n. 278).
“C’è un episodio della sua vita [di S. Francesco] che ci mostra il suo cuore senza confini, capace di andare al di là delle distanze dovute all’origine, alla nazionalità, al colore o alla religione. È la sua visita al Sultano Malik-al-Kamil in Egitto, visita che comportò per lui un grande sforzo a motivo della sua povertà, delle poche risorse che possedeva, della lontananza e della differenza di lingua, cultura e religione. Tale viaggio, in quel momento storico segnato dalle crociate, dimostrava ancora di più la grandezza dell’amore che voleva vivere, desideroso di abbracciare tutti. La fedeltà al suo Signore era proporzionale al suo amore per i fratelli e le sorelle”.
“Si percepiscono chiaramente, ha commentato il card. Bassetti, i due polmoni che vogliono dare un respiro importante e diverso alla Chiesa. Da una parte, l’annuncio di Dio Amore e Misericordia e, dall’altra, perché non resti verità astratta, la necessità del ‘prendersi cura’ – custodire – non solo gli uni degli altri, ma di Dio, del creato e di se stessi. Il Santo Padre indica un percorso: che la Verità cammini di pari passo con la Giustizia e la Misericordia”.
Il Papa parla di “amicizia sociale” come via per “sognare e pensare ad un’altra umanità”, seguendo la logica della solidarietà e della sussidiarietà per superare la “inequità” planetaria già denunciata nella Laudato si’.
“Se si tratta di ricominciare, sarà sempre a partire dagli ultimi”, la ricetta per il mondo post-Covid. La terapia è la fratellanza, il modello è quello del Buon Samaritano. Il Coronavirus, che ha fatto irruzione in maniera improvvisa nelle nostre vite, “ha messo in luce le nostre false sicurezze” e la nostra “incapacità di vivere insieme”.
Nel solco del Magistero sociale della Chiesa
La Dottrina sociale della Chiesa viene spesso ricollegata nella sua genesi all’enciclica Rerum Novarum. In realtà il Magistero sociale della Chiesa, anche se non sotto quella dicitura, ha origini antiche, se è vero che è stata una preoccupazione costante fin dall’epoca dei Padri della Chiesa e dal Medioevo; si pensi, per esempio, alla creazione dei Monti frumentari e di pietà, alla proibizione dell’usura, alla dottrina agostiniana del De civitate Dei e a parte del pensiero di San Tommaso d’Aquino in particolare per la nozione di bene comune.
Pietra miliare della Dottrina sociale della Chiesa resta comunque la Rerum Novarum (1891) di Leone XIII. Quindi vengono emanate la Quadragesimo Anno (1931) e la Divini Redemptoris (1937) da Pio XI, la Fulgens radiatur (1947) da Pio XII; la Mater et Magistra (1961) alla quale fa seguito la Pacem in Terris (1963) da Giovanni XXIII; la Populorum progressio (1965) e la Octogesima Adveniens (1971) da Paolo VI; la Laborem Exercens (1981), la Sollicitudo Rei Socialis (1987) e la Centesimus Annus (1991) da Giovanni Paolo II; la Caritas in Veritate (2009) da Benedetto XVI e, infine, la Laudato si’ (2015) e la Fratelli tutti di questi giorni da Papa Francesco.
Il Papa auspica “che non sia stato l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare… Che un così grande dolore non sia inutile. Che facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere”. Il razzismo che “si nasconde e riappare sempre di nuovo”; la “ossessione di ridurre i costi del lavoro, senza rendersi conto delle gravi conseguenze che ciò provoca”, prima fra tutti l’aumentare della povertà. Sono alcuni effetti della “cultura dello scarto”. Vittime, in particolare, le donne insieme ai bambini. Il quarto capitolo è dedicato interamente alla questione dei migranti, da “accogliere, promuovere, proteggere e integrare”.
“La vera qualità dei diversi Paesi del mondo si misura da questa capacità di pensare non solo come Paese, ma anche come famiglia umana, e questo si dimostra specialmente nei periodi critici”, sottolinea Francesco: l’immigrato non è “un usurpatore”.
Nel quinto capitolo il Papa stigmatizza il populismo insano che consiste “nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio della propria permanenza al potere”. No, allora, al “populismo irresponsabile”, ma anche all’accusa di populismo “verso tutti coloro che difendono i diritti dei più deboli della società”.
“Occorre esercitarsi a smascherare le varie modalità di manipolazione, deformazione e occultamento della verità negli ambiti pubblici e privati”. Oggi, ad un “individualismo indifferente e spietato” e al “relativismo” “si somma il rischio che il potente o il più abile riesca a imporre una presunta verità”.
Invece, “di fronte alle norme morali che proibiscono il male intrinseco non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere il padrone del mondo o l’ultimo ‘miserabile’ sulla faccia della terra non fa alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali”. (g.b.)