Degni

Domenica 28 giugno – XIII del tempo ordinario
(2Re 4,8-11.14-16;  Rm 6,3-4.8-11;  Mt 10,37-42)

44vangeloParole che fanno male, parole incomprensibili, parole che tagliano; tagliano gli affetti più cari, tagliano le radici: “chi ama padre e madre più di me non è degno di me”, e viene voglia di difendersi dietro i comandamenti, quelli che chiedevano di onorarli il padre e la madre. No Signore, non vogliamo nemmeno scivolare troppo in fretta sul concetto di “radicalismo cristiano”, perché inserito in questo contesto, senza riflessione, ci farebbe cadere in una sorta di incomprensibile contrapposizione: amare Dio e tagliare con i genitori. Ma anche con i figli. E questo sappiamo essere ancora più impossibile, e ingiusto. Forse, tra le tre condizioni che proponi la più semplice risulta ancora essere quella di misurarsi su se stessi: “prendere la propria croce e seguirti”. Ma ancora, perché contrapporsi? Perché queste richieste da amante geloso? Perché un amore non può essere condiviso? Perché ci chiedi di contrapporci? Lo sai che è una delle maledizioni che ci portiamo addosso da secoli: abbiamo sempre bisogno di un nemico, abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci ami di più di un altro, abbiamo sempre bisogno di trovare l’ostile per dar ragione al nostro agire. E questo ci sta logorando. Inutile dire che in ambito religioso trovare un nemico e radicalizzarsi sta diventando sempre più disumano. Non è possibile che Tu ci chieda questo, sarebbe in opposizione con la Tua vita. Sarebbe negazione del Vangelo.
E allora serve un respiro. E provare a capire, e non cadere nel tranello di chi in nome della radicalità dimentica l’umanità.
“Chi ama padre e madre più di me non è degno di me… chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me… chi ama se stesso più di me non è degno di me…” e allora a leggere bene il Vangelo si capisce che tu non stai chiedendo a noi indebite esclusive ma, al contrario, stai indicando che siamo noi ad assolutizzare alcuni amori. È proprio dall’esclusività, da ciò che esclude, che ci chiedi di liberarci. Non ci chiedi di amare più te della nostra famiglia ma di amare, e di diventare “degni di te” cioè degni della libertà dell’amore.
Ci chiedi di tagliare i legami che rischiano di soffocare, perché assolutizzare le radici impedisce ai rami di esporsi in libertà e di portare frutto. E allora amare i genitori, ma amare davvero, è tagliare per prendere le distanze. Un taglio certamente doloroso ma che porta a salvezza, anche solo per non replicare all’infinito situazioni incestuose, per permettere all’Amore, liberamente, di tracciare nuove traiettorie in una vita unica come uniche sono tutte le vite. Assolutizzare l’amore per i genitori, sostituirli a Dio, è rimanere schiavi di attese e ricatti affettivi, di impostazioni antropologiche e dinamiche tribali. Tagliare è anche lasciare libero chi ci ha generato. Tagliare è fonte di enorme maturità perché solo nella distanza io posso decidere di amare e di prendermi cura. Ma lo farò da figlio, liberamente, scegliendolo.

don Alessandro Deho’